Rose: A Love Story, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2021

Rose: A Love Story, opera prima della regista Jennifer Sheridan, crea un racconto caratterizzata da un'ottima atmosfera che, purtroppo, perde la sua originalità sul finale

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Rose: A Love Story, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2021

Rose: A love story, fin dal titolo, mette subito in chiaro che l'obiettivo della regista Jennifer Sheridan non è quello di spaventare o creare una realtà all'insegna di creature spaventose, ma di proporre un approccio originale al genere horror mostrandone il lato più umano, lasciando che siano gli spettatori a intuire quanto sta accadendo per quasi tutta la durata della storia. Il film segue infatti quello che accade a una giovane coppia che vive isolata nei boschi. Sam (Matt Stokoe) ha scelto questa esistenza complicata pur di proteggere l'amata Rose (Sophie Rundle), alle prese con le conseguenze violente e spaventose della sua malattia che la porta a voler bere sangue, rischiando di perdere la propria umanità e diventando incredibilmente aggressiva. Il loro rapporto affronta però una svolta inattesa e potenzialmente drammatica quando la giovane Amber (Olive Gray), rimane incastrata in una trappola per animali e Sam e Rose l'accolgono quindi nella loro casa per aiutarla.

La sceneggiatura firmata da Stokoe delinea bene le caratteristiche del personaggio che interpreta: il riservato Sam sa trovare un suo equilibrio tra tratti da cacciatore e la sua natura di protettore, diventando un uomo pronto a entrare in azione pur di occuparsi nel migliore dei modi della persona che ama. Rose, personaggio piuttosto complesso interpretato con una buona sensibilità da Sophie Rundle, avrebbe forse avuto bisogno di un maggior spazio per poterne comprendere le motivazioni e le emozioni, soprattutto nel secondo atto della storia in cui si avvicina ad Amber e la protagonista inizia a riflettere sul suo rapporto con il compagno e su come potrebbe essere il futuro di Sam se le rimarrà accanto.
Jennifer Sheridan riesce, anche grazie alla colonna sonora firmata da Cato Hoeben e all'ottima fotografia di Martyna Knitter che sa dare le giuste sfumature alle sequenze opiù claustrofobiche, a creare una buona atmosfera e, nonostante il personaggio di Amber non sia sviluppato nel migliore dei modi, Rose: A Love Story riesce a mantenere alta l'attenzione fino alla fine senza dover ricorrere a scene d'azione o svolte narrative inaspettate per coinvolgere emotivamente gli spettatori.

La regista, impegnata nella sua opera prima, sa gestire molto bene i suoi interpreti e soprattutto gli spazi in cui si svolgono gli eventi, per mostrare una relazione sentimentale atipica in cui l'elemento "horror" non toglie nulla all'umanità dei personaggi principali, anzi riesce a rappresentare con bravura e realismo cosa accade quando in una coppia è necessario compiere dei sacrifici importanti pur di rimanere insieme. Il finale, fin troppo affrettato e scontato, rovina un po' l'ottimo lavoro compiuto nel gettare le basi della narrazione e le performance dei protagonisti, pur lasciando la sensazione di trovarsi di fronte a una regista molto promettente.

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