Room, la recensione
Basato su un acuto trucco di sceneggiatura, Room come già Frank attira con la sua particolarità ma poi consegna un film molto più tradizionale di quel che si aspetti
La struttura del film è smontata, invece che partire dalla normalità di una vita, interromperla con un problema o un evento traumatico e poi chiudersi con un climax che porti verso il ritorno alla normalità, iniziamo da metà siamo dentro una situazione problematica e molto poco “normale” che non sappiamo da dove sia originata. Verso metà film questa si risolverà rocambolescamente e tutta la seconda parte sarà centrata sul difficile ritorno alla normalità. Come se avesse messo quella che tutti gli altri film considerano la necessaria “prima parte” in coda agli eventi, Lenny Abrahamson confeziona un film che in questo modo sorprende sempre.
È evidente che in questa maniera di riemergere da un inferno personale e tornare alla vita civile si può proiettare qualsiasi riabilitazione. I contorni sono sufficientemente vaghi per poter vedere nelle difficoltà della protagonista quelle di chiunque altro si sia trovato a dover rimettere in sesto la propria vita. Tuttavia Room non riesce a trovare quell’atmosfera tra il derelitto e lo speranzoso, tra la possibilità concreta di un domani migliore e un’empasse umano che lo allontana. Il film stende tutte le carte, dispone ogni pedina ma sembra non fare mai la mossa giusta.
Solo nel vero finale allora, nel ritorno a quella “room” iniziale, c’è un momento in cui questo film riesce ad usare il linguaggio del cinema (fotografia, direzione della recitazione, montaggio, assenza o presenza della colonna sonora) per andare a toccare qualcosa di intimo e concreto, difficilmente spiegabile a parole. È quel senso di mancanza e nostalgia anche per le situazioni peggiori, quel guardarsi indietro in un ambiente che ora sembra molto diverso e proiettare un sè che anch’esso ora sembra molto diverso. In quel momento Abrahamson crea un’atmosfera indefinita e indimenticabile, complessa e sofisticata come tutto quello che l’ha preceduta avrebbe voluto essere.