Ron - Un amico fuori programma, la recensione
Non è proprio molto coerente Ron - Un amico fuori programma, però ha l'idea giusta di amicizia a cui lo spettatore si può aggrappare
Non ci voleva chissà quale preveggenza per capire che l’immaginario tecnologico fondato dalla Apple di Steve Jobs, fatto di forme pulite e lisce, presentazioni spettacolari con il pubblico dal vivo, lessico ripetitivo e iperbolico, annunci roboanti e schermi alle spalle di chi parla, sarebbe presto entrato nell’immaginario collettivo come sinonimo di creatività e tecnologia avanzata. Così nei film e nei cartoni animati degli ultimi anni abbiamo visto e vediamo sempre di più molte “presentazioni” nello stile del keynote classico Apple (c’era già ad esempio in I Mitchell contro le macchine e nello stesso modo di quel film il quartier generale della compagnia informatica sarà il luogo a cui tendere), in un centro congressi eccessivamente futuristico e da qualcuno che si rivela essere il villain o complice del villain. In questo caso poi la compagnia che annuncia un nuovo robot “amico” ha anche un CEO simile a quello attuale di Apple, Tim Cook.
C’è insomma questa idea che è impossibile da non abbracciare, il fatto che il protagonista e il robot stringano un’amicizia sincera lungo le loro avventure perché il robot è infernale, ha un carattere insopportabile e non fa che creare problemi. Però è simpatico. Il che è uno degli strani segreti delle relazioni umane, la maniera in cui non tutto ciò che logicamente dovrebbe attirarci in realtà ci attira. Bisogna abbracciarla questa idea perché nonostante Ron - Un amico fuori programma centri l'umorismo (gli sceneggiatori hanno in curriculum Borat, la Aardman e Armando Iannucci) è l’unica parte coerente in un film che dice tutto e il contrario di tutto, che si lamenta delle corporation e di quello che fanno con la tecnologia, di come la usino contro i consumatori, si lamenta dei social (di cui i robot-amici sono un’estensione distopica) ma poi afferma, come tutta la fantascienza moderna, che solo i robot sono i veri umani. Alla fine questo strumento informatico tutto difettoso e sbagliato sarà davvero un grande amico, molto di più degli altri ragazzi e ragazze.
Il cuore di tutto è il classico elogio della diversità e della marginalità (la stessa famiglia del protagonista è il trionfo del non fico, dell’immigrante mai integrato davvero, quindi diverso e quindi apparentemente non desiderabile salvo essere l’unica ancora per i sentimenti autentici), portato attraverso una parabola che ha nella rappresentazione delle compagnie informatiche l’unico dettaglio interessante. Che la distopia di un cartone animato con un chiaro target di ragazzi sia una storia di dati raccolti e privacy violata, concetti la cui gravità non è facile da semplificare e raccontare a tutti, non è cosa da poco. Di solito i futuri pessimi sono caratterizzati da schiavitù, dittature, censura e tutto un immaginario figlio di 1984,che è molto più grossolano e di chiara pericolosità, invece qui vediamo un mondo felice sotto il quale batte il controllo di massa.