Romulus: la recensione degli episodi 9 e 10
Dopo tutta una stagione in cui ha dominato la violenza, Romulus fa la scelta audace di chiudere con la parola ma purtroppo non paga
Dopo tutta la violenza espressa lungo 10 episodi Romulus, arrivato alla fine, sceglie la parola. Le ultime due puntate, dopo un primo attacco violento, si affidano al dialogo per chiudere. La scelta sembra raffinata ma non paga sempre lungo le quasi due ore che chiudono la stagione. Non perché il dialogo sia da meno che l’azione ma perché la maniera in cui è scritto e condotto sembra una resa invece che un rilancio.
Tutta quella puntata che dovrebbe caricare il finale però un po’ fallisce nel suo obiettivo e l’impressione è che gli intrighi di palazzo compressi in un solo episodio siano troppo e troppo tardi. Soprattutto perché quando stacchiamo sulla guida che sembra uscita dal mondo dei morti di nuovo siamo catapultati in quanto di meglio sa fare Romulus: creare immagini con le vesti e il trucco, rendere concrete figure da mitologia. Solo che qui sceglie qualcos’altro e la sensazione è di aver perso qualcosa. Silvia Calderoni è quel qualcosa. Il suo personaggio è morto ma lei con quel volto e quel fisico incredibili, fuori dal presente e da ogni normalità, è un buon esempio di ciò che nei suoi momenti migliori rende Romulus appassionante.
Similmente la trovata che altrimenti poteva essere molto forte, cioè che dopo tutta questa violenza e questa scia di morti e sangue il regno finale sia stabilito quasi senza violenza, tramite uno scontro fugace e senza particolari conseguenze per i corpi tra solo due persone, non ne esce bene. Specie considerato che queste due persone sono Ilia e Yemos, promessi rivali, l’opposto logico fin dall’inizio e le personalità messe in contrasto dal destino (e dagli umani). Lei si è allenata a lungo e questo è stato parte della sua trasformazione, lei ha cambiato la vita per inseguire la vendetta e lo ha fatto per ragioni sentimentali che abbiamo imparato a capire. La nostra soddisfazione nell’arrivo di un momento così caricato però sarà minima, perché lo scontro non regala grandi emozioni, si chiude con un nulla di fatto e una resa il giorno dopo.
Meglio semmai il vero finale che, per quanto frettoloso, mette sul piatto un conflitto di culture, il vero specifico introdotto dalla serie in dinamiche di potere che altrove avevamo già visto. Il problema di Yemos è infatti quello di tenere uniti popoli diversi con pantheon di dei differenti, una differenza culturale non da poco (allora e oggi). Ma è uno specchietto per le allodole e questo lo capisce bene Yemos, proclamato re. Il vero scontro è un altro, è tra generazioni, tra giovani e vecchi. I primi non vogliono essere come i genitori, vogliono cambiare tutto, essere diversi e avere un regno diverso.
Tutti i re dei regni di Alba da riunire di nuovo sotto un’unica bandiera sono vecchi, solo Yemos, Wiros e Ilia sono giovani, per tre ragioni diverse sceglieranno di non piegarsi, non trattare, non mediare ma di separarsi, ribadendo che il conflitto tra generazioni non è sanabile. Il loro destino lo forgeranno da sé stufi di dover stare sulle spalle dei genitori e proseguire le loro idee.
Sembra la summa non solo di Romulus ma proprio della serialità italiana, che non fa che raccontare scontri di generazioni.
Alla fine ci sarà spazio per Yemos e Wiros per professarsi fratelli davanti a tutti, fondando il mito di Romolo e Remo, i due leader di un popolo fatto di spostati, gente che non trova posto nel mondo come è ed è disposta a sognarne un altro. Un’utopia.
Un blando cliffhanger finale lancia la seconda stagione. Peccato. Si poteva chiedere di più al finale.
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