Romulus, la recensione degli episodi 7 e 8

Romulus schiera l'artiglieria pesante: i migliori conflitti, le migliori scene, la miglior recitazione, il miglior ritmo

Critico e giornalista cinematografico


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Spoiler Alert
Tutto il meglio arriva ora. Il settimo episodio di Romulus inizia con un poema Omerico (secondo la tradizione composti o meglio comparsi la prima volta proprio negli anni della nascita di Roma) e sarà tutta una puntata sulla mitologia, sulla potenza del racconto e soprattutto sulla sua fondazione. L’idea sembra essere che la fondazione di Roma sia la fondazione del suo mito e che non ci possa essere quel tipo di unione tribale che consente di gettare le fondamenta di un nuovo regno, grande e capace di unire ciò che era separato, senza un mito fondante che aggreghi.

È una puntata di mitologie distrutte e rifondate, chiarite e spiegate se non proprio resettate. E il mito è ciò che crea il re, l’unica arma che in un mondo arcaico lo può legittimare, anche più della forza. I ragazzi sperduti nella foresta hanno imparato questo, che la sola imposizione di una forza maggiore degli altri non aggrega, anzi divide, allora adesso l’unione ci sarà ma tramite un mito. Questa è la grande ambizione di Romulus, ritrarre un mondo dominato dalla violenza in cui tutti vogliono comandare (come sempre) ma nel quale il comando lo si decide a parole, tramite la capacità di parlare e farsi ascoltare. È la politica.

Se in Il trono di spade (la serie che per dinamiche e contrasti messi in campo più somiglia a questa) veniva rappresentato un mondo di violenza in cui regnano gli uomini ma nel quale sono le donne, senza muovere un dito, a tirare le fila, qui invece l’unica donna protagonista è resa guerriera. Ilia non fa parte del mondo della politica ma di quello dell’azione. E mentre Yemos si conferma il più scialbo tra i protagonisti, Wiros acquista una complessità molto interessante. Non è solo il lato politico della storia, come poteva sembrare all’inizio, ma è anche quello sciamanico.

romulus yemos

E paradossalmente è proprio lui Francesco Di Napoli, questo attore con un volto e un taglio di capelli anacronistici, lontanissimo da tutti gli altri che in Romulus sono pieni di sfregi, di acconciature impensabili, di colori di pelle e fisici che gridano vita difficile, ad emergere e rimanere impresso. Questo volto da cinema italiano anni ‘60, da Jean Louis Trintignant, così moderno per quell’ambientazione, è cresciuto più di tutti. Il suo Wiros non dà ancora risposte (da dove viene? che vita ha avuto?) ma trova alla fine la sublimazione del proprio ruolo, condottiero fiero e compassionevole. Completamente invasato dallo status e dal dovere. Tutti i re o aspiranti tali in Romulus sanno di essere in un giro di potere e interessi. Wiros al mito ci crede fino a farsi frustare.

L’altro personaggio più convincente della serie anche arriva a sublimazione ma nell’ultimo episodio. È Gala. Ivana Lotito è di gran lunga l’attrice che ha capito meglio in che produzione si trovava e come si dovesse recitare. Non che Romulus sia una serie recitata male, ma di certo è altalenante, alterna toni brutali ad altri più moderni e non tutti sono accordati sulla stessa nota. Invece Ivana Lotito ha tutto. Ha l’astuzia shakespeariana indispensabile per la moglie di un re che ha ucciso per arrivare al trono, ma anche il fare da matrona romana, ha un sentimento che batte negli occhi dietro alle trame ma anche la capacità di raggirare con il corpo. Parla, convince e non c’è momento che reciti anche con il resto del fisico. E non è solo convincente, ma così abile da lasciare il dubbio che forse non stia raggirando nessuno, che a quel che dice ci creda sul serio!
E coerentemente è così che chiude la sua parabola.

romulus collettivo

I tre protagonisti che erano partiti uniti come era facile immaginare si sono separati e gli eventi li hanno messi gli uni contro gli altri in tre fazioni separate. Incattiviti, arrabbiati, invasati. Nell'ottava puntata piena di amori e passioni forti (finalmente! Che peccato che ci sia voluto così tanto perchè arrivassero) anche la recitazione è molto più in palla e si osa qualche immagine di un livello più alto (il bacio incatenati è qualcosa). E per la prima volta c’è anche uno scampolo di livello di lettura effettivamente sofisticato.

La richiesta di sottomissione del popolo della lupa alle regole degli altri regni (non si mangia il cuore della gente!) per entrare a farne parte mette in scena il conflitto più tipico tra stati (non ultimo tra membri dell’Unione Europea): la rinuncia ad una parte della propria specificità per farsi contaminare da altri costumi e altre leggi. Annacquare le proprie asperità e diversità per un bene comune che non può che essere solo auspicato. È tutto ciò che mancava alle altre serie sul potere, sempre composte da partiti o fazioni omogenei in lotta tra loro, senza nessun conflitto culturale (e senza offese agli dei, nel finale di questi episodi di Romulus pare che il basso Lazio sia tutto un’offesa agli dei).

Invece qui la nascita di qualcosa di più grande passa per la necessità di schiacciare non solo altri uomini ma proprio tradizioni, idee, culture e specificità dei singoli.

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