Romulus 2, la recensione di tutta la stagione

La realizzazione dell'idea di epica che era già in Il primo re e in Romulus 2 qui è produttivamente e narrativamente compiuta

Critico e giornalista cinematografico


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Romulus 2, la recensione di tutta la stagione, in uscita su Sky e in streaming su NOW

Doveva essere il complemento di Il primo re, doveva essere la serializzazione della storia di Romolo e Remo, là dove Il primo re era stato l’adattamento del mito dei due fratelli, invece la seconda stagione di Romulus cambia molte carte in tavola, si sovrappone per certi versi a Il primo re e fonde quelle due prospettive (un pezzo di trama addirittura è ricalcato). È sia mito che storia, sia trasfigurazione della mitologia in storia plausibile, sia romanzone molto espressivo, ancora più fondato sull’immaginazione e la creazione di una grande epica rispetto al film. Romulus 2 forse è la più completa realizzazione vista fino ad ora sia di quell’idea di cinema con cui nasceva Il primo re, sia di una produzione italiana di stampo internazionale che non tiri la mano indietro da nessun punto di vista e sappia sia somigliare a quello che oggi è la grande serialità o il grande cinema (con i dovuti distinguo di budget) sia ritagliarsi idee e soluzioni espressive proprie.

Attacca in una specie di proto-Colosseo, cioè attacca con la celebrazione dello spettacolo dentro lo spettacolo. E lì in quello spettacolo da tempi antichi viene annunciato il tramonto di un secolo di guerra e il sorgere del sole della giustizia. Gli eventi della stagione diranno il contrario, è venuto infatti il momento della guerra più grande di tutte. Tutte le 8 puntate narrano dello scontro con i sabini, popolazione limitrofa di costumi diversi, scontro da cui si completa la creazione di Roma. E questo sarà vero anche se, con gran gusto e sorpresa, nella prima puntata la origin story della città è raccontata in flashback. Roma, o meglio Rumia come la chiamano loro, è stata fondata tra la fine della prima stagione e l’inizio di questa seconda e con una trovata totalmente anticlimatica ce lo siamo persi.

Come se non contasse granchè siamo subito portati altrove, nel regno dei sabini dove domina un tiranno che è figlio di Dio, un ragazzo giovanissimo caratterizzato da atteggiamento pansessuale, leader di una popolazione con un legame alla mistica superiore a quelli di Rumia. Qui si inizia a capire che Romulus 2 fa proprio tutto un altro lavoro sulla caratterizzazione. Vuol dire maschere, pettinature, costumi, ambienti, colori, atteggiamenti e toni variegati e molto più azzeccati per raccontare prima di tutto visivamente questi personaggi e il loro mondo di violenza efferata (finalmente un po’ di arti mozzati trattati senza rispetto in una produzione italiana!).

Non è più il racconto di uno scontro generazionale come nella prima stagione, ma il racconto del regno dei ragazzi. Ovunque a capo di tutto ci sono persone giovanissime, volti e corpi imberbi che comandano, ordinano e muovono orde di altri quasi coetanei. Pochissimi i “genitori” o quelli con più di 30 anni. Realismo storico o meno poco importa, questa è una storia di una nuova generazione al potere che a confronto con problemi eterni (la sete di potere, la dialettica tra ideali iniziali e realpolitik, la religione e lo stato) e problemi tutti suoi. La soluzione sarà la guerra ovviamente, una su una scala che le produzioni italiane ancora non avevano affrontato con questa costanza e questi esiti. L’episodio 6 in questo senso non è solo ben realizzato e prodotto ma ha un’azione che è anche ben scritta, forse l’ultimo passaggio che ci mancava, non tanto avere i mezzi ma sapere come muoverli per dargli un senso.

Questa versione più strutturata di Romulus non è solo una serie tv più compiuta e narrativamente compatta, è anche un pezzo di cinema migliore che mette in relazione molto meglio ciò che è scritto con ciò che si vede, che usa scenari diversi e le immagini per completare ciò che dicono le parole. Alla fotografia sono sempre Vladan Radovich e Giuseppe Maio ma sembra che il passo sia completamente diverso, c’è un’altra inventiva, un’altra voglia di far parlare le immagini e un altro modo proprio di concepire le singole scene a partire dai corpi, dai volti e dal rapporto con i paesaggi. Tutto è usato per far penetrare il trascendentale in questo che doveva invece essere il racconto realistico. La seconda stagione è infatti molto più permeata della prima di premonizioni, mistica, apparizioni, visioni, morti e resurrezioni. E questo è utilissimo ad una delle dinamiche più coinvolgenti della serie, il rapporto tra progresso e regresso.

Rumia è la città progressista mentre i sabini sono quelli antichi, attacchi a culti che limitano la libertà, hanno un re vecchio stampo, che sì crede un Dio mentre Rumia vuole un duopolio difficile da accettare al di fuori. La cosa è interessante perché una volta giudicavamo i regni di finzione più sessualmente spregiudicati come metafora dei regimi più moderni, ora invece questo luogo in cui il sesso è ovunque ed è parte importante anche di come il regnante si propone, è un posto in cui  le persone sono vincolate e bloccate in certi ruoli. Solo a Rumia si può essere davvero liberi, anche se sembrano tutti casa e chiesa (e spada). La libertà sessuale come la intendono i sabini ha sempre uno strano sapere di posizionamento delle donne e dominio degli uomini.

Ma siccome puoi svegliarti quanto presto vuoi al mattino tanto l’immaginario cinematografico sì sveglia sempre mezz’ora prima di te, questa stagione scritta molto tempo fa in realtà suona più attuale per un altro versante, quello della guerra: "La pace non ha valore se significa vivere sottomessi" è una frase che viene pronunciata ad un certo punto e sembra venire dall’Ucraina. Vale la pena ripeterlo: non ci sono riferimenti intenzionali, Romulus 2 è stato concepito ben prima dello scoppio della guerra, ma come spesso capita ingaggia un rapporto con l’attualità anche involontariamente. Così si parla di invasioni, invasi, guerre per non accettare la schiavitù, principi e soprattutto della contraddizioni del potere, chi pensa di poterlo amministrare come crede e chi si pensa un Dio: “Credersi un Dio per un uomo è l'inizio della sventura” - “Per un Dio invece credersi un uomo è un sogno da cui deve svegliarsi”.

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