Romeo è Giulietta, la recensione

Con Romeo è Giulietta Giovanni Veronesi confeziona il suo film più compatto e godibile ma non riesce a sfuggire alla sua pigrizia

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Romeo è Giulietta, uno dei film più compatti di Giovanni Veronesi, dirottato come spesso avviene da Sergio Castellitto, è flagellato da mille piccoli problemi

C’è un terrore che pervade registi e quindi poi scenografi italiani quando lavorano nelle commedie: quello degli interni poveri. È la paura che ricostruire o anche solo riprendere un appartamento arredato con pochi soldi, mal posizionato, con poca luce che entra e pessimo mobilio, peggiori il film o sia indice di un cattivo lavoro. Accade così che in qualsiasi commedia italiana in cui i protagonisti si collocano al di sotto della borghesia o sono anche solo dei ragazzi con pochi soldi, quello che dicono non corrisponda a quello che vediamo. Spiegano di aver bisogno di lavorare, di far fatica ad arrivare a fine mese, e lo fanno da loft bohemien pieni di luce e arredati con gusto. Non si dà commedia italiana ambientata in un appartamento che sia orrido. 

Accade invariabilmente anche in Romeo è Giulietta, in cui una coppia di attori tenta il provino per un’importante rappresentazione di Romeo e Giulietta, di un maestro del teatro italiano, fallendo. Tutto questo mondo del teatro è ritratto con i consueti stereotipi massimalisti ed esagerati, da satira, ma indubbiamente Maurizio Lombardi, Alessandro Haber e Sergio Castellitto la fanno funzionare benissimo, anche in una gustosa quanto paradossale scena con un critico. Lei però viene scartata perché ha un problema con il mondo del teatro italiano, qualche anno prima ha portato in scena un plagio e questa cosa la perseguita. Infuriata decide di mascherarsi da uomo, vincere il provino e poi smascherare le ipocrisie del teatro. Una volta presa non riuscirà a trovare il coraggio, finendo in un groviglio di bugie con tutti.

Questo è un bel problema per il personaggio protagonista, interpretato da Pilar Fogliati. La tendenza a mentire con gran facilità (non solo l’inganno del travestimento ma anche l’aver portato in scena per un anno uno spettacolo non suo spacciandolo per proprio) rende il personaggio una bugiarda seriale, ma il film non lo riconosce mai, sembra sempre che sia una persona comune in difficoltà con la finzione. È un problema della sceneggiatura ma anche dell’interpretazione, che non lascia comprendere una certa confidenza con la menzogna. E una volta tanto questo dettaglio, insieme a una serie di altri, è quello che peggiorare un film di Veronesi, che per il resto invece è uno dei più godibili: è ben messo in scena (con proprio una buona fotografia e belle scelte musicali), ha un buona facilità narrativa, un ritmo più che decente, qualche trovata divertente e solo un finale sbrigativo, raffazzonato e chiuso in fretta, come se si fossero ultimati i giorni di riprese tutti insieme.

Anche il trucco da donna a uomo, la parte più spinosa perché deve essere credibile, è molto ben fatto davvero, e quando Pilar Fogliati, travestita da uomo, rivela la sua natura femminile solo con un sorriso, di colpo squarcia la finzione, si strucca senza struccarsi, e cambia così tanto da far realizzare di colpo quanto bene si fosse allontanata dall’espressività femminile. Tuttavia, anche il suo ottimo trasformismo non può bastare a mettere in ombra Sergio Castellitto, che parte dal lato del racconto, nella posizione che preferisce (come visto già, tra i molti casi, in Il tuttofare o Il più bel secolo della mia vita), quella opposta al ruolo principale, e si muove verso il centro. Il suo autore teatrale è più complicato, più intenso o anche solo più divertente di chiunque altro. È impossibile non attendere continuamente che il film torni su di lui per animare un po’ ogni sequenza con elettricità e una imprevedibilità attoriale (quel senso del pericolo che dà l’impressione che possa accadere qualsiasi cosa da un momento all’altro) che in questo film nessun altro ha e fanno subito pensare che un film su di lui, in cui gli attori e i travestimenti fossero un suo problema, sarebbe stato migliore.

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