To Rome with Love - la recensione [2]

Un film a episodi che sembra una summa del cinema di Woody Allen. I fan spaventati dal trailer traggano un sospiro di sollievo: To Rome with Love non è così terribile. Anzi...

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Il gioco dell'ocra e cantando sotto la doccia.

Perdonatemi ma sono i primi due giochi di parole, assolutamente scemi, che mi vengono in mente per iniziare la recensione dell'episodico To Rome With Love, 41esimo film per il cinema di Woody Allen in 43 anni di carriera da regista e prima cartolina d'amore all'Italia, e alla sua capitale, da parte del grande cineasta newyorchese diventato globe trotter negli ultimi anni.

C'è stato il periodo londinese di Crimini & Misfatti (4 film dal 2005 al 2010), l'ottima piccola gita in Spagna altamente caliente (2008) e l'intelligente satira sul concetto di malinconia dell'età dell'oro (ognuno ne ha una) dell'ultimo successone in terra di Francia (2011) con Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale. E poi arriviamo noi italiani.

Gioco dell'ocra perché lo sgargiante Darius Khondji crea una fotografia sublime dove lo sfondo paesaggistico capitolino che osserva sornione le piccole storie dei personaggi del film è languidamente e continuativamente ocra, colore che ogni romano non daltonico sa bene essere il predominante della nostra caotica e bellissima città. Portentosa, la fotografia di Khondji mi ha ricordato l'esplosività della loro prima collaborazione in Anything Else (2003).

Cantando sotto la doccia perché l'episodio più divertente vede proprio il bislacco discografico Woody Allen, arrivato a Roma per conoscere la famiglia del futuro cognato italiano, cercare di lanciare come nuova star dell'opera il proprietario di un negozio di pompe funebri... che canta come Pavarotti solo quando si strofina via lo sporco nel box doccia.

Quattro gli episodi, e quindi andiamo con ordine:

  1. Jesse Eisenberg, giovane architetto che vive a Trastevere, si innamora dell'attrice seduttrice Ellen Page rischiando il rapporto con la fidanzata mentre Alec Baldwin, vecchio architetto che viveva a Trastevere, cerca di fargli da mentore/coro greco. Qui Allen si autocita al massimo nel personaggio della donna irresistibile perché problematica (dalla Diane Keaton di Manhattan alla Christina Ricci di Anything Else) e nel ruolo del mentore che suggerisce al protagonista cosa fare come nel caso di Bogart in Provaci ancora Sam. E' l'episodio leggermente più astratto (Baldwin assume spesso le sembianze del mentore onirico; è in scena davanti a tutti ma lo sente solo Eisenberg) e anche quello più amaro sul rapporto tra due uomini che probabilmente sono lo stesso i quali riflettono sulla caducità dell'amore e dell'integrità professionale. Non male affatto. Anche se la Page non tiene troppo la parte della bomba sexy. Forse perché non lo è affatto.
     

  2. Woody Allen vuole lanciare il beccamorto che canta alla grande solo sotto la doccia. Episodio che cresce assai con lo scorrere dei minuti e ha un'ottima chiusa trionfale a teatro grazie a tante piccole ellissi risolte con placide dissolvenze incrociate estremamente divertenti mentre I Pagliacci di Leoncavallo cattura l'attenzione anche di Dolce & Gabbana. E' il momento per tuffarsi nell'umorismo psicanalitico che ha reso celebre Mr Allen grazie a una meravigliosa Judy Davis (amatissima dal regista/sceneggiatore dai tempi di Mariti e mogli) moglie psicologa del discografico bislacco che fa da costante contraltare sarcastico, ma affettuoso, alle idiosincrasie del marito che poi sono quelle dello stesso Allen: pensione uguale morte; morte uguale fine di tutto in base all'ateismo materialistico sempre coerentemente professato dal settantasettenne americano. I loro battibecchi sono sublimi. Lui: “Diventerà il cantante d'opera più famoso del mondo!” Lei: “Sicuramente il più pulito”. Oppure lui arrabbiato: “Senti, se sei in contatto con Freud... fatti ridare i miei soldi”. Il nostro amico gioca in casa con l'arbitro a favore. E' l'episodio migliore anche se Leo Gullotta come doppiatore di Allen è troppo ansimante. Soprattutto nelle prime scene che risultano stranianti.
     

  3. Roberto Benigni, uomo qualunque con famiglia qualunque, diventa improvvisamente famosissimo con tutti che lo intervistano e inseguono per strada. E' il Woody Allen surreale “Ai confini della realtà” della mamma che appare in cielo a rompere le palle al figlio del suo episodio di New York Stories o dell'attore Robin Williams che un giorno si sveglia ed è tutto sfocato in Harry a pezzi. L'episodio peggiore. Sia perché la tematica della celebrità era stata affrontata meglio nel sottovalutato Celebrity (appunto) sia perché Benigni qui dimostra di non eccellere come attore al servizio di altri. Anzi... di non eccellere come attore punto.
     

  4. Coppia di sposini che vengono da Pordenone (ma parlano con forte inflessione romana) rimettono praticamente in scena Lo sceicco bianco (un film adorato da Allen già citato molto ne La rosa purpurea del Cairo) con lei che si apparta con star del cinema (un Antonio Albanese molto positivo) e lui che perde qualche inibizione con una Penelope Cruz prostituta sagace (altra storica maschera della galleria alleniana come la Mira Sorvino di La dea dell'amore) in micro abitino rosso come ai mitici tempi di Prosciutto prosciutto di Bigas Luna. Non proprio scoppiettante se non fosse per una bella satira a proposito dell'ipocrisia italiana grazie a gag veloci e pungenti in cui la Cruz dimostra di aver frequentato professionalmente tutta la Roma bene dell'alta società... e anche qualcuno del Vaticano. Questo è un Allen velenoso piacerà molto ai vecchi fan. Adorabili i due sposini Mastronardi & Tiberi, forte la Cruz che recita in italiano (lo sa fare benissimo, lo sappiamo) e divertente il cammeo di Scamarcio come ladro d'albergo pugliese.

Concludendo: qualche problema di edizione per noi italiani (qualcuno è in presa diretta, qualcuno no), una colonna sonora non jazz che disorienta, tantissimi riferimenti al suo cinema da parte di uno dei maestri di questa arte. Non è tra i suoi migliori ma c'è sempre qualcosa da vedere, e imparare, da questo sobrio grande lavoratore dell'arte. Un tema minimamente costante: la celebrità e la sua futile necessarietà.
“Volare” di Modugno apre e chiude vicino due completamente inutili narratori che andavano tagliati al montaggio.

Allen non è precipitato nemmeno stavolta. Il volo è sicuramente più basso dell'ultimo Midnight in Paris, anche se è ontologicamente impossibile che Mr Allen possa essere mai terra-terra.

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