To Rome with love, la recensione
Divertente come i migliori film di Woody Allen e animato da una leggerezza che scalda il cuore, questo film romano è una vera soddisfazione. Almeno per chi non ha emesso il suo giudizio a priori...
C’è una parte del pubblico che già ha emesso la sua sentenza sul nuovo film di Woody Allen, vedendolo potrà facilmente confermare il suo pregiudizio. Sì, in To Rome with love ci sono musiche di mandolino, c’è un cantante lirico, ci sono le canzoni di Caruso e le strade di Trastevere, la Fontana di Trevi e Piazza Venezia. Allo stesso modo in cui in Vicky Cristina Barcelona c’era Paco De Lucia e le Ramblas o in Midnight in Paris i cafè parigini e la musica di fisarmonica.
Si tratta dello stesso mood che si rispecchia nelle molte storie a intreccio che compongono il film. C’è l’impresario d’opera (Allen stesso) la cui figlia in vacanza a Roma si innamora del figlio di un proprietario di pompe funebri, il quale ha una voce formidabile ma solo sotto la doccia. C’è la coppietta impacciata che gli eventi separeranno per una giornata (uno con una prostituta, l’altra con un noto attore). C’è la giovane coppia americana (Jesse Eisenberg) che vive a Trastevere il cui equilibrio è scombussolato dall’arrivo di un’amica (Ellen Page). E l’uomo comune (Roberto Benigni) eletto a celebrità senza un motivo plausibile.
Tutto ha il tono che rimbalza con felicità tra intrecci da commedie italiane anni ’50 e dialoghi o situazioni alleniane.
La fusione tra un’idea italiana tradizionale di cinema (l’episodio con Alessandro Tiberi è a metà tra Lo sceicco bianco e una commedia all’italiana tra le più leggere) e una puramente alleniana (molto forte nell’episodio in cui egli stesso è protagonista) è la cifra del film e la sua audacia maggiore. Di certo delle molte opere alleniane dell’ultimo periodo, quelle dal trasferimento a Londra in poi, quelle della diaspora europea, To Rome with love è di gran lunga il più divertente e ispirato. Specie dalla seconda metà l’intreccio presta il fianco ad un umorismo dilagante vario ed eterogeneo. C’è quello slpastick di Benigni, quello classico verbale di Allen, quello di situazione del cantante lirico e quello più leggero dell’episodio in cui Alec Baldwin fa da controcanto immaginario (ma presente nella scena) delle turbe amorose di Jesse Eisenberg. Un vero classico senza tempo di Woody Allen.
La Roma di questo film inizia molto sul generico (i grandi monumenti, le piazze molto note) e lentamente si addentra nelle parti meno praticate, meno conosciute e meno viste: piccoli cortili, aree inesplorate dalla macchina da presa, luoghi reimmaginati. Ci sono una quantità impressionante di esterni diversi, un numero esorbitante di location, ognuna calibrata sul momento drammaturgico cui fa da sfondo e ognuna pronta a coccolare la sua scena.
Sarebbe stupido dire che Roma “è una protagonista del film”, la verità è che è il senso ultimo del film, l’oggetto immenso con il cui immaginario e con la cui estetica Allen gioca, a metà tra ripetizione di una mitologia già fissata da mille altri film (italiani) e rifondazione di un’estetica personale (pioggia, temporali, inquadrature con prospettive oblique, straordinari schiacciati ecc. ecc.).