Romanzo di una strage, la recensione
Con molte cose da dire e tesi da raccontare, Giordana racconta la strage di piazza Fontana senza l'audacia delle immagini ma con l'ambivalenza del sotterfugio...
E' periodo di revisione storica questo. Mentre i 40enni rivedono gli anni '80 (cioè la loro adolescenza) con nostalgia e affetto, i 70enni rivedono gli anni di piombo, il terrorismo e la storia criminale del paese (cioè i loro vent'anni).
Romanzo di una strage racconta la strage di Piazza Fontana, comincia un po' prima dell'evento e finisce un po' dopo (con l'omicidio Calabresi), mette in scena anarchici, poliziotti, politici e fascisti distribuendo colpe e assoluzioni con un atteggiamento ambivalente se non apertamente fastidioso che tende a salvare solo chi è morto (il santino di Aldo Moro è al di là di qualsiasi possibile idea di "ricostruzione").
In un film che non brilla per interpretazioni (ed è incredibile visti i nomi coinvolti da Mastandrea a Favino fino a Lo Cascio e Colangeli), nè per ritmo, nè per modernità visiva, Giordana sceglie anche di non mostrare ma di suggerire, cioè di bisbigliare qualcosa all'orecchio dello spettatore invece che mostrarlo apertamente.
La mancanza di fiducia o ancor peggio di audacia visiva nel cercare anche una dimensione estetica per quello che (stando cos'è com'è) rimane un reportage incolore, rende quindi Romanzo di una strage un film debole, scialbo, incapace di rendere racconto audiovisivo l'indagine degli autori.