La recensione di Romantiche, il film di e con Pilar Fogliati, in sala dal 23 febbraio
C’erano tutti i presupposti per aspettarsi poco da
Romantiche.
Pilar Fogliati esordisce contemporaneamente come protagonista unica di un film, come sceneggiatrice (insieme a
Giovanni Veronesi e
Giovanni Nasta) e come regista, tutto insieme, come i comici degli anni ‘70 (
Verdone, Benigni, Troisi…), e con un film ad episodi, formula che di suo si presta ad alti e bassi e ha spesso scarsa unità. Eppure bisognerebbe non avere gli occhi per non notare come, anche a fronte di una sconfortante ignavia produttiva che spinge verso il banale in ogni scena proponendo le solite luci, le medesime comparse fuori luogo, i consueti scenari e tutto un armamentario di produzione fotocopiato in serie da anni e anni (uno che
Pilar Fogliati non ha né la forza né l’esperienza registica per scardinare, sempre che l’avesse voluto!), Romantiche ha molto più senso di tutte le commedie che vediamo solitamente. Questa volta sceneggiatura e regia sono pensate insieme sul serio e con dietro una visione chiarissima riguardo i personaggi e quel che vogliono dire. Là dove i comici o i commedianti alla regia pensano solo a sé,
Pilar Fogliati ha curato tutto con la medesima attenzione dedicata ai propri personaggi.
Questo, sia chiaro, non crea di certo un film perfetto ma un film pensato bene, con un’idea reale dietro che va a braccetto con quella commerciale e ha qualcosa da dire addirittura sapendo come farlo. Ci sono 4 ragazze ognuna con difficoltà di relazione, cercano ragazzi, cercano lavoro o cercano stabilità, la storia di ognuna è raccontata a partire dall’ingresso di queste in un altro mondo (un’altra città, un altro stato familiare ma anche quello del lavoro o la vita che conducono persone diverse da loro). Ci sarà chi ne esce uguale e chi diversa, chi riesce a cambiare se stessa e chi capisce solo di essere quel che è. La parte migliore però è come la scrittura di Pilar Fogliati sappia trovare una maniera di prendere concetti astratti e renderli sensati in bocca o nelle vite dei personaggi. Non vuole elevare il loro statuto facendogli esprimere considerazioni elevate, non gli riserva momenti in cui guardare l’infinito e di colpo mostrare la più banale delle profondità d’animo, sa invece trovare dove quei concetti astratti si concretizzano nelle loro vite e nelle loro teste. Solo così esce una frase come quella finale, che riporta il punto di tutto il film alla vita di una pariolina e così facendo in quella di chiunque.
Certo, su tutto regna lei,
Pilar Fogliati stessa, che interpreta le quattro protagoniste e che non scopriamo ora essere versatile ed efficace. Quello che scopriamo ora semmai è come sappia valorizzarsi, come conosca i propri punti di forza e sappia dare il meglio senza bisogno che qualcuno la diriga (cosa per niente scontata). In questa maniera
Romantiche riesce a proporre un modello di umorismo un minimo diverso, da un lato tradizionale (in fondo è lo stesso modello di
Carlo Verdone) ma anche fondato su un’ironia non per forza onnipresente. Il suo non è l’umorismo dei film dei comici, in cui qualcuno fa battute su tutto ciò che accade, né
quello di Zalone che rappresenta il peggio di noi, e questo perché nonostante la struttura ad episodi e personaggi da film comico
Romantiche è una commedia personale. Racconta una storia (anzi, quattro) notando tutto il ridicolo e l’ironico insito negli esseri umani e nelle loro disavventure. Solo che invece che criticare la società o il sistema o ancora il mondo intorno a loro, guarda le 4 ragazze per scoprire in modi diversi cosa sia l’autonomia. E questo da solo fa tutta la differenza tra lo squallido ghetto dei film “che racconta il mondo delle donne” e i film veri, quelli che raccontano le persone.