Roma 2018 - The Hate U Give, la recensione

Quel momento di conversione che il cinema solitamente relega ad una scena, The Hate U Give lo spalma, esplora e spiega lungo tutta la sua durata

Critico e giornalista cinematografico


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La vera particolarità di The Hate U Give è il suo tono, il fatto di essere un feel good movie d’indignazione civile, uno che quel che lo deve dire non lo fa con un mondo affranto in cui tutti i diritti sono calpestati, ma uno luminoso e assolato, in cui il ghetto è un luogo bello per quanto rischioso, uno insomma che non oscura la luce per raccontare le tenebre. George Tillman Jr. vuole portare quel genere a tutti, renderlo mainstream, farlo entrare nel salotto dei film per famiglie. Anche se il cuore della storia è un’aggressione da parte di un poliziotto ai danni di un afroamericano innocente.

Quando la protagonista viene riaccompagnata a casa in macchina da un ragazzo che ci sta provando con lei i due vengono fermati dalla polizia, lui non ha la deferenza che a lei è stata insegnata dal padre e quando prende in mano una spazzola il poliziotto gli spara, uccidendolo. Adesso nella vita di lei il vero dubbio è se parlare o meno, testimoniare e mettersi contro tutti.
Ma questi sono solo gli eventi, la vera storia è un’altra, quella di una ragazza (sempre lei, Amandla Stenberg) che nella scuola privata che frequenta vive da bianca in un mondo di bianchi che si atteggiano a neri ma in cui lei non può farlo perché questo la etichetterebbe come una del ghetto. È una storia di desiderabilità della cultura afroamericana e di una ragazza che vi appartiene che la rifiuta perché è l’unico modo (crede) di essere accettata.

Invece che ripetere il solito mantra sul razzismo (corretto ma sempre più inefficace all’aumentare delle ripetizioni) The Hate U Give ne moltiplica le dimensioni: c’è quello violento ed esplicito, quello sottile di chi non si schiera e quello ipocrita di chi si schiera per saltare un giorno di scuola ma non ha veri interessi, e poi c’è quello dell’appropriazione di una cultura senza nessuna partecipazione ad essa o anche quello di chi vuole la violenza a tutti i costi. Con una frase di Tupac a fare da tamburo battente, il film non ha molte remore ad esplicitare la propria morale, cioè che la violenza perpetrata a cui rispondiamo si riflette sui bambini, le nuove generazioni che cresciute nella violenza saranno violente. È una predica continua, una predica fatta film. Eppure è impossibile negare che sia molto ben scritta e girata.

The Hate U Give è un film ambivalente che continuamente dà un colpo all’indignazione civile e uno alle famiglie felici, senza amalgamare mai davvero il tutto ma riuscendo a creare un fiume narrativo impetuoso. Ciò che solitamente avviene in poche scene (la conversione di un personaggio da ignavo ad attivo tramite una presa di coscienza) qui occupa tutto un film. Tutto The Hate U Give esplora i problemi, i dubbi e le contraddizioni che quel mutamento di mentalità, affrontandolo e mettendolo in questione (pretestuosamente) invece che dandolo come una soluzione finita. Avere una coscienza civile costa, costa tantissimo e affrontare di continuo quel costo è appassionante.

Di certo è paradossale che un film in cui il problema principale è che un bianco ha ucciso un nero, finisca con i protagonisti in festa perché la polizia finalmente ha arrestato un altro nero.

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