Roma 2018 - Dons Of The Disco, la recensione
Quando la disco italiana vendeva milioni di dischi Den Harrow era il suo profeta. Ma era tutto falso. Dons Of The Disco non racconta solo quello ma molto di più
Dons of the Disco non ricostruisce questa storia, se non per quel poco che serve alla comprensione dei fatti di cui tratterà, ovvero la faida tra Den Harrow (al secolo Stefano Zandri) e la persona che cantava davvero le sue canzoni mentre lui eseguiva il playback nei concerti, cioè Tom Hooker. È una storia di internet, esplosa tramite la rete. Tom Hooker ad un certo punto ha risposto online alle richieste di spiegazioni e, anni dopo la fine della fama di Den Harrow verso l’inizio dei 2000, si è scoperto che la voce di quelle canzoni era lui, mentre Den Harrow era solo il corpo. Il documentario rintraccia e segue i due oggi, uno in America l’altro in Italia, li ascolta, guarda cosa fanno, come vivono e come ancora oggi sono influenzati da quella celebrità.
Den Harrow è caduto in disgrazia e ha perso tutti i soldi guadagnati quasi subito, oggi vive nel ricordo e mostra di saperlo bene. Tom Hooker invece sembra averli conservati e moltiplicati, è ricco e molto annoiato. Dons Of The Disco inizialmente induce a pendere dalla parte del vero autore perché pare la parte lesa, ma gradualmente allo svelarsi dello stato di Den Harrow, l’eroe della verità, l’uomo che si vuole riprendere il credito che merita, appare sempre di più un aguzzino. Le immagini dei due cambiano durante il film.
Involontariamente questo documentario è quasi uno studio sui meccanismi di identificazione al cinema. Si parte disprezzando Harrow, con le sue pretese e la sua endemica falsità (all’epoca addirittura si spacciava per americano) e si finisce dalla sua parte avendo un trovato in lui uno sconfitto dalla vita che si aggrappa a quel che sapeva fare, cioè “vendere” musica altrui con il suo corpo, e chiede che non gli venga levato.