Roma 2018 - Dons Of The Disco, la recensione

Quando la disco italiana vendeva milioni di dischi Den Harrow era il suo profeta. Ma era tutto falso. Dons Of The Disco non racconta solo quello ma molto di più

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Quella di Den Harrow è una storia praticamente sconosciuta al pubblico contemporaneo. È sconosciuto chi lui sia stato, è sconosciuto chi lui fosse veramente ed è ancora più sconosciuto chi cantasse le sue canzoni. Eppure negli anni ‘80, in Italia, c’è stato un momento in cui era più importante e di successo di Michael Jackson, e in Europa era di fatto una star. Era la star più conosciuta della italo disco, il genere che tra la fine dei ‘70 e poi lungo tutti gli ‘80 è stato uno dei più remunerativi in assoluto.

Dons of the Disco non ricostruisce questa storia, se non per quel poco che serve alla comprensione dei fatti di cui tratterà, ovvero la faida tra Den Harrow (al secolo Stefano Zandri) e la persona che cantava davvero le sue canzoni mentre lui eseguiva il playback nei concerti, cioè Tom Hooker. È una storia di internet, esplosa tramite la rete. Tom Hooker ad un certo punto ha risposto online alle richieste di spiegazioni e, anni dopo la fine della fama di Den Harrow verso l’inizio dei 2000, si è scoperto che la voce di quelle canzoni era lui, mentre Den Harrow era solo il corpo. Il documentario rintraccia e segue i due oggi, uno in America l’altro in Italia, li ascolta, guarda cosa fanno, come vivono e come ancora oggi sono influenzati da quella celebrità.

Per quanto incredibile Dons Of The Disco è un documentario davvero significativo e pieno di questioni interessanti anche se non è un buon documentario. È girato in modo quasi amatoriale e in più di un punto si ha la sensazione che non faccia il miglior uso possibile del materiale che ha per le mani (il fatto che non esplori la dialettica tra immagine e contenuto negli anni ‘80 è quasi criminale, viste le possibilità). Eppure con lo scontro tra il corpo della musica, negli anni dell’inizio della videomusica, e la sostanza di essa, chi la eseguiva, è la migliore spiegazione di quel decennio. Ma anche più in profondità questa storia di truffe e ambiguità, come spesso i documentari raccontano, pone domande fondamentali sul mito del successo.

Den Harrow è caduto in disgrazia e ha perso tutti i soldi guadagnati quasi subito, oggi vive nel ricordo e mostra di saperlo bene. Tom Hooker invece sembra averli conservati e moltiplicati, è ricco e molto annoiato. Dons Of The Disco inizialmente induce a pendere dalla parte del vero autore perché pare la parte lesa, ma gradualmente allo svelarsi dello stato di Den Harrow, l’eroe della verità, l’uomo che si vuole riprendere il credito che merita, appare sempre di più un aguzzino. Le immagini dei due cambiano durante il film.
Involontariamente questo documentario è quasi uno studio sui meccanismi di identificazione al cinema. Si parte disprezzando Harrow, con le sue pretese e la sua endemica falsità (all’epoca addirittura si spacciava per americano) e si finisce dalla sua parte avendo un trovato in lui uno sconfitto dalla vita che si aggrappa a quel che sapeva fare, cioè “vendere” musica altrui con il suo corpo, e chiede che non gli venga levato.

Continua a leggere su BadTaste