Roma 2017 - I, Tonya, la recensione

Eccessivamente impegnato a far ridere, I, Tonya sacrificherebbe tutto per una battuta mentre la sua protagonista mostra una determinazione fuori dal comune

Critico e giornalista cinematografico


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Che I, Tonya sia un film derivativo è immediatamente chiaro dalle prime scene in cui i personaggi, oggi, sono presentati con un’inquadratura da finta intervista televisiva in 4:3. Sono nelle loro case e sembra di vedere per un attimo un film di Wes Anderson tanto la coerenza dei colori e scenografie si accoppia con i caratteri di chi le abita. Saranno loro a raccontare, da molti punti di vista diversi, cosa è accaduto 30 anni prima, con la confidenza con lo spettatore (a cui si parla anche direttamente rompendo la quarta parete) di The Wolf of Wall Street, film che è un modello per I, Tonya tanto quanto La Grande Scommessa.

Gillespie si capisce che vuole realizzare un film che appartiene al genere delle vere storie anni ‘80 e ‘90 raccontate nella loro naturale assurdità, trame ed intrecci credibili solo perché veri, altrimenti troppo implausibili ed idioti per stare in un film. Lo vuole così tanto da usare i carrelli veloci in avanti ad inizio scena di Scorsese e l’ossessione per l’umorismo a tutti i costi di La Grande Scommessa, aggiungendo la passione per la sottolineatura dell’idiozia di Pain And Gain e un po’ di materiale di repertorio.
Così riesce a ricostruire questa storia di bugie e di menzogne, i cui contorni ancora adesso non sono molto chiari ma che gira intorno all’incidente causato alla pattinatrice Nancy Kerrigan, probabilmente commissionato dalla rivale Tonya Harding, sicuramente perpetrato dal marito di lei.

L’obiettivo di I, Tonya però non è cercare la vera versione dei fatti ma, come i film del genere cui appartiene, raccontare il passato come un momento di follia, la realtà come bacino di storie assurde e l’umanità come contaminata dall’idiozia, come se la vita di tutti fosse sceneggiata dai fratelli Coen. Tale è il suo obiettivo che il film è disposto a tutto per un po’ di risate in più. Nonostante sia in piedi come grande veicolo per l’affermazione di Margot Robbie, lo stesso il desiderio di essere commedia e di esserlo con una nobiltà maggiore delle altre, sembra la sua missione: far ridere con classe.

Se tutto questo un po’ tira giù un film indubbiamente godibile, effettivamente divertente e molto abile nel gestire i vari snodi di un racconto a più voci (è capace anche di tenersi da parte per il gran finale il personaggio più assurdo di tutti, l’amico del marito), a tirarlo su invece è Margot Robbie. La sua Tonya Harding è una pattinatrice brava ma tenuta ai margini del mondo del pattinaggio per la sua natura popolare, un’esclusa sempre e comunque che rifiuta di assumersi qualsiasi responsabilità, bambina viziata che non si adegua alle regole estetiche del suo sport ma lo stesso è determinata a vincere con una forza che è nulla rispetto alla determinazione di Margot Robbie stessa nell’interpretare il ruolo. È la maniera tenace in cui dà vita ai mille toni del personaggio a infondere la vera linfa al film e, risate a parte, a portarlo sul terreno del cinema più serio.

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