Roma 2017 - Stronger, la recensione
Privato dalle gambe dagli attentati di Boston del 2013, il protagonista di Stronger deve venire a patti la sua nuova vita ma soprattutto la sua immagine mediatica
Come se l’incidente e la vera storia fossero un pretesto, Stronger parla in realtà del rapporto che sempre di più tutti sembrano dover avere con la propria rappresentazione mediatica.
Ovviamente quello di questo protagonista, interpretato con la solita impeccabile ordinaria bravura da Jake Gyllenhaal, non è un caso ordinario ma straordinario, una vittima che appena ripresa conoscenza, con pochissime forze e nel letto d’ospedale, volle per prima cosa fare l’identikit dell’attentatore che aveva visto, contribuendo alla cattura ed uscendone così come eroe nazionale, simbolo della forza (da cui il titolo) dello spirito bostoniano. Ma del resto era straordinaria anche la storia del capitano Sully raccontata da Clint Eastwood, che alla stessa maniera, a latere dell’evento, si soffermava tantissimo su quanto il personaggio dovesse venire a patti con il concetto di eroe che gli era stato affibbiato e con il quale sembrava a disagio.
Di certo non è questo il vero cuore di Stronger, la maggior parte del minutaggio è dedicata ad un racconto molto intimo di rapporti difficili e di recupero, un ricamo molto melò intorno alla riabilitazione fisica e mentale, con diversi legami dichiarati con la guerra e la crisi da stress post traumatico. Eppure è evidente che questo film appartiene a quella schiera che sempre di più incorpora le difficoltà che abbiamo con le immagini che i media impongono alle persone, come il racconto che ne fanno influenzi la loro vita.
La cosa incredibile di questo film è che alla fine non prenderà la posizione che è più facile prevedere ma la sua morale sarà che per stare in pace con se stessi davvero è necessario accettare l’immagine che i media hanno disegnato e imposto, invece di combatterla.