Roma 2017 - Mazinga Z: Infinity, la recensione

Il ritorno da un'altra dimensione dei i suoi nemici rimette Koji al comando del suo mecha, eppure Mazinga Z: Infinity è l'opposto della serie classica

Critico e giornalista cinematografico


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A differenza di molte proprietà intellettuali nipponiche passate per i manga o per le serie tv (o per entrambi) Mazinga Z è un piccolo universo condiviso in cui esistono più personaggi di più serie ideate da Go Nagai, per questo forse il nuovo film che associa Mazinga Z e Il Grande Mazinga in un’unica avventura, in cui il secondo è un po’ defilato, si affanna così tanto in una spiegazione iniziale per filo e per segno del mondo futuro in cui è ambientato. Cosa è successo, perché e dove: tutto è dettagliato come in un impossibile documentario, prima di iniziare la vera e propria narrazione, che a sua volta sarà densa di dettagli di scienza fantastica.
Mazinga Z: Infinity, progetto in cui Go Nagai non ha avuto nessun ruolo, è infatti prima di tutto un film innamorato delle sue teorie sulle energie fotoniche, sulle loro implicazioni e di come possano essere usate in quell’universo narrativo, solo poi uno che racconta una buona storia.

Derivando molte delle sue novità da altre serie (Evangelion in primis, e sembra abbastanza logico, ma paradossalmente anche altre meno contingue come Dragon Ball) Mazinga Z: Infinity mette Koji Kabuto, ormai diventato un ricercatore, in dovere di tornare a comandare Mazinga perché i suoi nemici storici, ormai morti e sepolti, sono tornati tutti insieme da un’altra dimensione in cui (evidentemente) non sono mai morti. Ed è anche evidente che il Dr. Inferno nell’altra dimensione si sia laureato all’università maligna con voti più alti, visto che adesso ha un piano più sofisticato ed è più attento ad esprimersi e trattare con gli umani, usando la falsità dei politici, parlando di fasulle alleanze e mirando al controllo energetico più che alla buona vecchia sottomissione diretta e creazione di caos come una volta.

La foga di inserire tutti i personaggi storici e di fare moltissimo fan service ovviamente va a detrimento del film che si presenta come l’opposto logico del Mazinga classico. Quello era molto innovativo, questo è molto conservatore. Koji ha il problema che pare costretto a sposarsi a tutti i costi, tutti intorno a lui complottano perché metta su famiglia benché non voglia (per nessuna ragione apparente se non il buonsenso), in un mondo in cui gli oggetti del benessere sono inusualmente in evidenza (c’è un invadente product placement della Nissan e dei computer Vaio). Il modello a cui pare Koji debba tendere è quello di Tetsuya, il pilota del Grande Mazinga, felicemente coniugato con prole in arrivo che tuttavia, quando ricorda i momenti felici con la moglie Jun in un collage di immagini sentimentali, lo vediamo anche prenderla a schiaffi (sic!) per poi fare pace.

Ma anche lasciando stare dettagli da restaurazione del patriarcato familiare in una storia che coinvolge personaggi ideati da uno dei più grandi innovatori del fumetto erotico ed umoristico, Mazinga Z: Infinity oscilla stranamente tra animazione 2D e 3D (solo nella seconda parte tutti i robot sono in computer grafica, prima no) e non aggiunge niente alla mitologia dell’universo di Mazinga, ne costituisce solo un’avventura autoconclusiva, contaminata dall’usuale delirio apocalittico “fine del mondo” che ben si sposa a personaggi che vengono dal Giappone degli anni ‘60 ma che mal si armonizza con l’idea di concludere l’avventura senza che nulla sia davvero cambiato (Spoiler: Koji sarà costretto ad ammettere di volersi sposare). Alla fine purtroppo non suscita nemmeno troppa autentica nostalgia ma lascia più che altro insoddisfatti.

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