[Roma 2016] La Mujer Del Animal, la recensione

Unendo il massimo della violenza e dell'umiliazione con il massimo del realismo, La Mujer Del Animal arriva a trasfigurare il vero nel filmico

Critico e giornalista cinematografico


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Medellin, prima dell’arrivo del narcotraffico. Anzi per essere precisi periferia di Medellin, bassi anni ‘80, alta violenza tribale. Il crimine poco organizzato ma comunque violentissimo, in una storia dalla prospettiva minuscola: una donna viene rapita e portata nella baracca accanto a quella in cui risiedeva fino a 5 minuti prima per essere fatta “moglie” da El Animal. Nessuno ha il coraggio di dire niente, viene violentata più volte e costretta a vivere lì, senza contatti con la sorella nonostante disti solo pochi passo. E non è la sola. Durerà 7 anni questa sorta di prigionia da villaggio, 7 anni in cui avrà dei figli e sarà sottomessa in ogni ambito della propria vita, vedrà altre donne subire la propria sorte e cercherà di trovare una dignità in questo stato.

La Mujer Del Animal è una storia vera di indicibile violenza che però Victor Gaviria non ha intenzione di esprimere solo con l’efferatezza, le botte e il dolore, ma anche con una capacità ammirabile di creare la sottomissione, di mettere in scena un’atmosfera di umiliazione atavica.
C’è così in questo film una qualità primitiva che lo distingue dalla massa, come se pur non dicendolo nessuno, si avvertisse un legame tra quel che accade e i primordi dell’essere umano. La vita nelle caverne, la prossimità allo stadio animale dell’esistenza.

La storia non potrà che risolversi nel sangue, ma se El Animal con il suo carisma malefico e la sua strafottenza nello sbandierare le proprie azioni riempie lo schermo, lentamente è la protagonista a guadagnare una dignità che cresce con il passare degli anni. Da vittima diventa resistente e infine combattente per la libertà nella propria rivoluzione privata. Da remissiva risale la scala evolutiva fino ad essere donna guerriera in un posto del mondo in cui sembra non si possa essere altro, in cui ognuno, anche le persone più tranquille, devono tenere il machete a portata di mano, pure alle feste. Perché non si sa mai.

Eppure il motivo per cui La Mujer Del Animal si imprime nella memoria più di qualsiasi suo simile è la maniera in cui tutti questi dettagli, che non stonerebbero in un film di Tarantino tanto sono espressionisti ed epici, vengono tradotti da Gaviria in una storia di metodico realismo, con volti di non attori, dialoghi improvvisati e luoghi veri. Come se Pasolini incontrasse Robert Rodriguez.

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