[Roma 2016] Kubo e La Spada Magica, la recensione

Pieno di idee originali ma fallace proprio lì dove punta di più, sull'azione, Kubo E La Spada Magica conferma tutta la bontà dello studio Laika

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
I protagonisti dei cartoni animati, ovvero i modelli di identificazione, sono spesso un buon metro con cui misurare la serietà con cui vengono approcciati i film. I fisici non ordinari e sformati dei cartoni di Chris Sanders (Lilo & Stitch, I Croods), la menomazione finale di Dragon Trainer e qui un ragazzo con una benda perché il nonno (villain della storia) gli ha levato un occhio e lotta, tra le molte cose, per non farsi levare anche l’altro.

Che bravi allo studio Laika! Non importa che Kubo e la Spada Magica non sia il loro miglior film (Coraline e ParaNorman sono decisamente superiori per creatività, dialoghi e capacità di dare ritmo alle idee originali), nè brilli per rapidità e coinvolgimento, questo cartone riflessivo e intimo, molto sentimentale nonostante l’avventurosità, è capace di mostrare sprazzi di grandezza. Non è nemmeno più la stop motion (contaminata con tanta computer grafica) il loro segreto ma una capacità di montare e immaginare una storia su strutture tutte originali.

La componente più evidente è quanto, di nuovo dopo Coraline, anche Kubo e La Spada Magica si appoggi più sulla scansione delle storie dei videogiochi che su quelle del cinema o sulle fiabe. Di boss di fine livello in boss di fine livello il protagonista acquista armi e potenziamenti, fino a confrontarsi con la minaccia che ha fatto partire l’avventura. In più i boss hanno un design che pare uscito dalla Nintendo.
Su questo scheletro inusuale per il cinema arriva poi la narrazione vecchio stampo. Kubo è un cantastorie tramite origami, cioè con un salto di metacinema il protagonista di una storia in stop motion racconta egli stesso storie in quella che a tutti gli effetti è una forma primitiva di stop motion. E proprio le sue storie, sempre prive di finale, sono la più chiara delle allegorie per il quest: trovare una fine alla propria epopea.

Gli strumenti migliori per narrare di un ragazzo che deve superare il proprio retaggio, uccidere il nonno e guadagnare un rapporto sereno con la morte dei propri genitori. Che non è poco per un cartone animato.

Peccato allora che a fronte di tutto questo e di una passione evidente e coinvolgente per la creazione di magie e scenari originali, Kubo e La Spada Magica non abbia anche un passo convincente. Con una scarsissima propensione all’epica ma tante scene d’azione e un crescendo emotivo che viene proprio dalla sconfitta fisica dei nemici, Kubo e La Spada Magica, già dal titolo italiano, promette qualcosa che non c’è: l’avventura.
Un guerriero che per portare avanti la sua emancipazione deve affrontare diversi scontri, indossare armature, imbracciare spade e alla fine combattere con e le due corde del titolo originale (Kubo and The Two Strings), ha davvero troppa poca dinamica, troppo poco movimento, troppa noia proprio nelle scene d'azione con cui dovrebbe portare avanti la storia.

Continua a leggere su BadTaste