Roma 2015 - Truth, la recensione

Molto poco onesto nella lettura dei fatti, fin dalle premesse, Truth si propone di raccontare proprio una storia di integrità, risultando poco credibile

Critico e giornalista cinematografico


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Le storie di giornalismo sono strumenti per affrontare la realtà, modi per raccontare il cambiamento dei tempi assecondando le peripezie (vere o meno) di una notizia e la lotta di una redazione per renderla pubblica, provarla o semplicemente scoprirla. Negli ultimi anni raccontare il cambiamento dei tempi significa cercare di comprendere come la rete e la sua rivoluzione nei tempi e nei rapporti personali stia influenzando la politica, la comunicazione e il lavoro (non ultimo lo stesso lavoro giornalistico). Era un film sull'arrivo della tecnologia State of play (in cui un giornalista esperto e analogico è aiutato e affiancato da una blogger in un'inchiesta), è un film sulla tecnologia Il caso Spotlight (in cui la vera cronaca del grande scoop del Boston Globe sulla pedofilia cattolica è messa in prospettiva dall'arrivo di internet e la morte di quel tipo di redazioni, tempi e modo di fare giornalismo) e infine è un film sulla tecnologia che entra nelle nostre vite Truth.

Anche qui la storia è vera, è quella di cosa successe nel 2004 quando la redazione di 60 Minutes (lo show televisivo della CBS) andò in onda a poco dalle elezioni con la scoperta di documenti che provavano come George W. Bush avesse usato la sua influenza per farsi prendere dalla Guardia Nazionale invece di andare in Vietnam e come non fece praticamente quasi nessuna ora di servizio. Dopo la messa in onda la redazione fu massacrata dalla rete che aveva scoperto e dimostrato la falsità dei documenti su cui si erano basati. I giornalisti di 60 minutes lottarono a lungo per dimostrare il contrario non riuscendoci mai a pieno e soprattutto subendo il lento abbandono di diversi testimoni chiave. Il film di James Vanderbilt racconta proprio questo, la lenta caduta del mondo addosso ad una stimata reporter (Mary Mapes, quella che sempre per 60 Minutes solo poche settimane prima aveva scoperto le foto di Abu Grahib) e dell'anchor man simbolo della rete Dan Rather. I due sono interpretati da Cate Blanchett e Robert Redford senza risparmio di forze.

In due ore la prima mostra la sua bravura a manipolare gli eccessi (pianti, esaltazione, grida, difficoltà e trasfigurazione), il secondo a lavorare con poco (è quasi sempre immobile, con un'espressione rilassata ma con la quale comunica tutto quello che serve), tra questi due estremi si scatena un rapporto strano e molto forte. Il film invece è decisamente meno equilibrato. Vanderbilt non ha il passo sicuro di altre opere del suo genere e soprattutto parla di integrità ed onestà intellettuale essendo il primo a non averne.

Truth racconta una storia vera basandosi sul libro scritto dalla protagonista stessa, sposando quindi in pieno il suo punto di vista manicheo, anche andando contro la ragionevolezza più basilare. Ad oggi quel caso è rimasto nella storia come un esempio di cattivo giornalismo, il primo scoperto dalla rete e dalla sua mania del fact checking. Nel film invece è una storia oscura e nebulosa nella quale nessuno ha ragione ma i cui protagonisti sono campioni di etica, messi in croce dai poteri forti e da chi online ha guardato ai dettagli inutili non badando al vero succo della storia. Non proprio il punto migliore da cui osservare gli eventi se si vuole raccontare una parabola di etica e capacità di riportare i fatti.

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