Roma 2015 - The Boy and the Beast, la recensione

Il nuovo film di Mamoru Hosoda prosegue il discorso di Wolf children ma forse con troppa poca decisione. Lo stesso The Boy and the Beast è imperdibile

Critico e giornalista cinematografico


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Il nuovo lungometraggio di Mamoru Hosoda è il successore spirituale di Wolf Children, di quella storia riprende la metafora della bestialità contrapposta all'umanità e continua a raccontare come si cresca e come si cambi, quanto cioè il momento della formazione possa rivoluzionare una persona. A mancare è però quel tono intimista al quale Hosoda sceglie di preferirne uno più d'azione, fondando la storia su una serie di confronti finali che forse sono la parte più debole e insieme più urlata di un film che invece in molti punti dimostra di saper vivere anche di allusioni. Se in Wolf Children una mamma umana si trovava a dover crescere di nascosto da tutti due bambini lupo, in The boy and the beast un bambino umano è cresciuto in un mondo parallelo, popolato da bestie parlanti; in entrambi, una volta adolescenti i bambini devono scegliere cosa essere, a che mondo appartenere, sapendo bene che qualsiasi scelta ferirà persone a loro care.

Con una madre morta e un padre divorziato al quale i tutori non vogliono farlo ritornare, il bambino protagonista sceglie di scappare e vivere da vagabondo fino a che non incontra una bestia di passaggio nel mondo degli umani. Questa lo prende come suo apprendista e lo porta nel proprio mondo dove lo educherà alle arti marziali (cosa che nel mondo asiatico coincide con un'educazione morale ed spirituale) fino all'adolescenza. La cosa importante però è come l'umano sviluppi un legame d'appartenenza con il padre bestia e come soprattutto questi si leghi inaspettatamente a lui. Stavolta i bambini non hanno bisogno dei genitori ma viceversa.

Il film purtroppo si perde, manca di quella risoluta concretezza che appare indispensabile per non annegare nel mare delle emozioni umane

Proprio qui, in questo snodo fondamentale, il film purtroppo si perde, manca di quella risoluta concretezza che appare indispensabile per non annegare nel mare delle emozioni umane. Quella fermezza necessaria a comprendere cosa si voglia ritrarre e poi correre dritti al punto The boy and the beast non ce l'ha, corre appresso a diverse sensazioni e sfumature del rapporto padre-figlio e addirittura appresso a una trama ancora più scema che parla di lato oscuro ed equilibrio sentimentale con un abuso forsennato di metafore dentro metafore.

Impossibile però trascurare la maniera in cui quest'autore confermi di essere un narratore fenomenale anche in un film meno riuscito. The boy and the beast non può rivaleggiare con i suoi lavori migliori, eppure lo stesso in esso è evidente una capacità di affermare le grandi ovvietà del mondo con uno spirito inedito, di colpire lo spettatore sui nervi resi più callosi da tanto cinema, bello e brutto, in modo da renderli di nuovo sensibili. Anche le grandi banalità nei film di Hosoda sono vere, tangibili e contaminanti, perchè nelle sue storie e nei suoi personaggi apertamente fantasiosi c'è una clamorosa vicinanza al reale, le sue allegorie sono così prossime a ciò che intendono da essere immediate, non suonare mai intellettuali e, forse proprio per questo, ammalianti.
La storia dell'orso rissoso per il quale nessuno tifa e del suo allievo bambino, con cui non fa che scontrarsi e litigare ma che in ultima analisi è l'unico con il quale abbia stretto un legame significativo, potrà anche per certi tratti annoiare e far pensare ai lungometraggi più scemi, ma in pochi secondi e qualche immagine spazza via la concorrenza.

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