Roma 2015 - Hurricane 3D, la recensione

Non nasconde mai la sua natura di documentario naturale Hurricane 3D ma lo stesso riesce ad innovare il suo genere e riprendere la poesia di un disastro

Critico e giornalista cinematografico


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I documentari naturalistici hanno dei canoni precisi, andarvi in deroga non è semplice nè scontato. Hurricane ha una maniera dolce e delicata di affrontare e documentare la nascita, la crescita e la temperie dell'uragano Lucy, muovendosi con fare invisibile tra realtà e finzione. Ovviamente, la porta d'ingresso è e rimane un linguaggio visivo patinatissimo, stato dell'arte di tutte le tecnologie di ripresa, dall'altissima definizione digitale fino alla terza dimensione. Come anche non manca la voce fuoricampo, ineludibile dogma narrativo per il genere, rivoltata però dall'uso delle parole di Victor Hugo, non più quindi connotazione ma denotazione, in bocca agli uragani stessi (in teoria sono loro i narratori). Il risultato è un melange tra vecchio e nuovo, tra tradizionale e innovativo che pende sull'asse della conservazione ma lo stesso riesce a rendere molto più interessante della media la cronaca di un disastro naturale.

Diviso tra ammirazione della natura al lavoro, della forza e dell'infinità serie di eventi che portano al formarsi di un uragano e la malinconia della distruzione, quel silenzio e quell'aria stagnanti e plumbee che si avvertono tra le macerie che rimangono, Hurricane 3D riesce a fare un'impossibile apologia poetica di quello che rimane un disastro naturale, un evento da sempre chiamato con nomi personali (la stessa parola uragano viene dal nome di un antico dio) e deprecato che tuttavia nessuno aveva mai guardato con la curiosità e la partecipazione del duo Cyril Barbançon e Andy Byatt.

Quel che stupisce di Hurricane è l'arroganza con la quale questi due autori siano andati vicini a filmare la morte per cercare il bello. Hanno approfondito tecnicamente e scientificamente il formarsi e il muoversi di un uragano, sono andati nelle sale di controllo, nei centri di accoglienza e hanno anche immagini dallo spazio dell'uragano ma non mostrano mai la morte, solo la distruzione fisica che porta, simbolo inequivocabile della sua forza. La scelta meno conciliante dà vita al documentario più vivo, in cui si sente l'assenza della morte ma che sembra riuscire a vivere anche senza

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