Sembra ci sia il tocco di
Fernando Meirelles in questo nuovo film di
Stephen Daldry e infatti c'è. L'autore del seminale
City of God ha lavorato come produttore esecutivo ma l'idea è che sia stato più uno show runner per quello che è il primo film d'azione di
Daldry (e anche dello straordinario sceneggiatore d'eccezione che si è potuto permettere:
Richard Curtis). E' cinema d'azione perchè in
Trash c'è un mistero da ricostruire a posteriori, tre ragazzi che vivono in una discarica fuori Rio trovano un portafogli pieno di soldi e indizi di cui capiscono l'importanza solo quando la polizia comincia a pattugliare la loro favela in cerca di quell'oggetto e dai pochi elementi che hanno a disposizione provano ricostruire come mai tutti vogliano quel portafogli. Ma è anche cinema da
Curtis &
Daldry perchè quel che conta in tutto questo correre, scappare e nascondersi è l'estrema vitalità del trio di ragazzi (non professionisti).
Sono infatti pure comparse Rooney Mara e Martin Sheen, americani in un film tutto portoghese girato in pieno stile Meirelles, cioè con contrasto fortissimo e colori accesi (un espressionismo cromatico ormai diventato sinonimo di Brasile), macchina a mano e un punto di vista per nulla paternalistico. In Trash infatti non è tanto l'intreccio o la parte thriller ad appassionare (si è visto decisamente di meglio, di più coerente e più plausibile) ma la maniera in cui la favela non è il simbolo del disagio. Non si percepisce che a ritrarre quel mondo ci sia uno straniero perchè lo sguardo non è mai dall'alto verso il basso, non è pietistico e nemmeno da una certa distanza. Daldry sembra proprio aver aderito all'estetica di Meirelles perchè si disinteressa della favela in quanto tale, del disagio e delle condizioni dei protagonisti, elementi già sufficientemente evidenti da sè.
Ne giova tutto allora. In primis il ritmo, che non perde tempo appresso a sociologia spicciola, poi la trama che ha la possibilità di concentrarsi sugli eventi e non su ciò che gli sta intorno (che peccato che più ci si avvicina alla fine, più il film insista sul suo favolismo abbandonando sia l'epica che il realismo duro) e infine può lavorare concretamente sul cinema e non sul "messaggio". Infatti in quei piccoli corpi asciutti che sembrano capaci di penetrare qualsiasi aggregato urbano, di passare in qualsiasi pertugio e scavalcare qualsiasi inferriata (addirittura camminano sulle travi che sovrastano una strada a scorrimento veloce) c'è una potenza dinamica e cinematografica che
Daldry coglie in pieno, una gioia del movimento che dona anche alle scene più trite una vitalità contagiosa e quasi miracolosa. Se
City of God metteva in scena l'epica del Brasile moderno,
Trash gode nel ritrarne i movimenti.