Roma 2014 - Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet, la recensione

La consueta ode dello straordinario attraverso i dettagli di Jean- Pierre Jeunet in Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet è al servizio dell'elaborazione di un lutto

Critico e giornalista cinematografico


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Ha fatto un film in America senza farlo davvero Jean-Pierre Jeunet perchè ha girato con una troupe e maestranze in linea di massima francesi (ed eccezione del direttore della fotografia e pochi altri) in territorio americano una storia puramente statunitense, nella quale l'attraversamento della paese è fondamentale tanto quanto l'esigenza di mostrarne gli scenari.

Nel viaggio straordinario che compie il bambino del titolo c'è il senso stesso dello spostarsi e diventare qualcos'altro, passare da una fase all'altra della vita come nella più classica delle parabole ma con un'aderenza alla filosofia del viaggi che stupisce da un francese. Il bambino prodigio che inventa una macchina per il moto perpetuo e per questo è chiamato a parlare allo Smithsonian vive in realtà in una fattoria e non ha avuto il coraggio di dire la sua età al team dello Smithsonian. Lo stesso ha deciso di recarsi lì, viaggiando da solo per tutto il paese perchè cova qualcosa dentro di sè. Quando arriva e svela la sua età diventa subito vittima dello sfruttamento della macchina dello spettacolo.

É molto bello vedere come lo stile di Jeunet si applichi a questa storia. Inizialmente si ha l'impressione di aver già visto tutto, quando le piccole ossessioni del protagonista sono raccontate con voce fuoricampo tramite sovrimpressioni e grafiche, quando i sentimenti sono scoperchiati dai dettagli e quando l'ode del diverso e del nerd viene sfruttata per raccontare un mondo sentimentale in realtà comune a tutti e molto canonico in una maniera inusuale. Eppure con il procedere del film lentamente emerge un dettaglio che Jeunet mette in chiaro da subito (il fratello di T. S. è morto) e conquista gradualmente importanza a mano a mano che ne vengono svelate le circostanze. Così succede che il film che si sta guardando all'inizio non è il medesimo che si vede alla fine nonostante lo stile sia sempre coerente.

Per questo probabilmente Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet allarga l'immagine e rimpicciolisce il soggetto, inquadra da lontanissimo i suoi personaggi per immergerli in scenari mostruosi fotografati a colori saturissimi, fa muovere il suo protagonista in un trionfo di luoghi comuni della tradizione americana (come i treni merci presi al volo) e fonde questo tipo di tradizione cinematografica con la sua ricerca dell'ordinario nello straordinario. C'è sempre un senso di unicità nei personaggi dei suoi film, sono così originali e particolari che paiono non appartenere al nostro pianeta, è una tecnica che ha ispirato molti (Wes Anderson in primis) eppure nessuno come Jeunet mette questa straordinarietà al servizio delle sensazioni più usuali, trovando una combinazione degli opposti che genera un inaspettato coinvolgimento.

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