Roma 2014 - Stonehearst Asylum, la recensione

C'è davvero pochissimo di Edgar Allan Poe in Stonehearst Asylum ma una volta tanto non è un male, anzi. Anderson va più a fondo dello spunto originale

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Fa bella mostra di sè sui titoli di testa la firma di Edgar Allan Poe come autore della storia da cui è tratto il nuovo film di Brad Anderson, in realtà Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma (il racconto in questione) è abbastanza diverso e in comune con il film ha solo lo spunto del "ribaltamento" interno ad un manicomio. Fa impressione affermarlo ma è obiettivo che Stonehearst Asylum riesca a trovare una vena gotica più pronunciata del suddetto racconto, andando più a fondo nelle conseguenze e nell'esasperazione cinica e spietata (nei confronti degli esseri umani) di quel presupposto. É in ultima analisi l'essenza del genere, non solo ribaltare una situazione ma indagare con uno sguardo pornografico le implicazioni per scovarne i dettagli più agghiaccianti.

La storia è quella di un giovane medico appena laureato che arriva in visita in un manicomio (siamo nel 1899) con l'obiettivo di fare pratica e si ritrova in un istituto anticonvenzionale nel quale le malattie mentali sono assecondate invece che essere curate. Già dopo poco però comincia a serpeggiare il dubbio che non tutto sia come appare.
Il primo merito di Brad Anderson nell'adattare questa storia è quello di avere un'idea di "colpo di scena" molto più ampia di quello a cui siamo abituati, i twist sono diversi e non solo quelli più attesi, soprattutto li usa per dar vita al classico cinema da manicomio, quello che nell'indagare la malattia mentale sfuma il confine tra ciò che è vero e quel che falso. Perchè in ultima analisi, per il cinema di genere (e Stonehearst Asylum è un film di genere) la pazzia è un male che nasce nel film ma contagia lo spettatore, portando lo svolgimento a fare continua confusione tra ciò che è vero e ciò che appare, come se chi guarda pure non fosse capace di leggere più correttamente la realtà e venisse continuamente ingannato e stupito dagli eventi.

Per questo alla fine il film sembra un buon remake di un film vecchio stampo quest'ultimo di Anderson, tanto sono convenzionali l'impianto generale, i toni, gli umori e le atmosfere e tanto è invece moderno lo svolgimento, smaliziato e per nulla timoroso di cercare lo spettatore più popolare lasciando qualche (vago!) spunto più serio nello sfondo.
Sarebbe insomma crudele non riconoscere a questo filmetto gotico così rapido e veloce la capacità di fare un lavoro molto sporco e farlo bene, senza cercare una gloria che non gli appartiene, senza velleità fuori posto ma con un sano spirito cinematografico. Che poi nell'infame ruolo della "linea romantica" ci sia un corpo forgiato da mille color correction cupe e maledette come quello di Kate Beckinsale, abituato ad atmosfere da arti mozzati, inganni, maledizioni e richiami demoniaci ancestrali fa solo che bene a tutto l'impianto visivo.

Continua a leggere su BadTaste