Roma 2014 - Lo sciacallo, la recensione

Martoriato nel suo significato dal titolo italiano Lo sciacallo è molto di più di quel che la sua trama racconta, è un film di notti abbandonate in cui si vaga disperati in un deserto d'umanità

Critico e giornalista cinematografico


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Lo sciacallo mette subito sul chi va là lo spettatore con un titolo italiano fazioso, lo orienta e gli comunica che sul protagonista del film pende un giudizio di merito.

Ancora non è iniziata la storia, ma già è stato determinato che il protagonista è uno sciacallo. Il titolo originale, Nightcrawler, invece punta su una componente neutra, ovvero il muoversi nei meandri della notte del protagonista, che poi è il vero senso del film, dietro una selva di facili attacchi ai media e morali sempliciotte. Sarebbe insomma un peccato andare appresso al moralismo facile del titolo italiano ignorando la componente evidenziata dal titolo originale.

La storia è quella di un poverello lasciato in mutande dalla crisi che cerca di rispondere a quelle che egli stesso definisce come imposizioni della mentalità aspirazionale con cui la scuola l'ha cresciuto, vuole essere un vincente, fare carriera e guadagnare come tutti gli americani stereotipici. Ruba qualcosa, cerca di rivenderla e poi farsi assumere ma non lo vogliono, allora quando entra in contatto con una troupe televisiva sul luogo di un incidente capisce che quello lo può fare da solo, è un'impresa in cui può diventare padrone di se stesso e nella quale i mezzi per partire sono minimi (gli basta rubare una bici per comprare il necessario), conta solo l'audacia personale, caratteristica che non gli manca.

Si può facilmente capire cosa succederà quando una simile determinazione incontra un settore come quello delle notizie di cronaca nera, quando cioè una mentalità spietata incontra i confini della morale, i limiti dell'etica e le decisioni più difficili da NIGHTCRAWLER posterprendere: le scavalca senza problemi e con il beneplacito della stazione televisiva che compra i suoi servizi. Qui sta la facile critica ai media, la parte più diretta, il lavoro sporco del film. Qui sta lo sciacallo del titolo, nell'insistenza sulla sua mancanza di scrupoli, proprio quello che lo spettatore si aspetta.

Tuttavia il film scritto e diretto da Dan Gilroy è per fortuna anche altro. Nel portare a termine quella che sembra una missione (cioè dare al protagonista Louis dei limiti da infrangere) e nel metterlo a contatto con quesiti morali che per lui non sono tali, Gilroy lo muove nelle notti losangeline in un deserto di umanità, sembra quasi Travis Bickle di Taxi Driver, solo in un oceano di dubbia moralità, abbandonato da qualsiasi tipo di guida (non ha fatto l'università, non ha avuto mentori professionali e tutto quel che sa l'ha trovato online) e dipendente solo sulla propria tigna. É molto intelligente la recitazione di Jake Gyllenhaal che sembra un scricciolo di miseria nella sua calma, è quasi spaventoso nella maniera in cui apprende tutto dagli occhi sempre palancati, e sono bellissime queste notti in cui vaga alla ricerca della tragedia, in cui collabora alla componente scenografica delle scene del crimine e in cui bara con la legge e diventa regista della realtà. Illude tutti di essere il miglior reporter della tv verità ma applica quel che ogni cineasta sa, cioè che nessuna ripresa è mai reale, nemmeno la più documentaristica, c'è sempre una parte che si sceglie di celare e una che si sceglie di mostrare, e infine lo sguardo ha sempre un implicazione morale.

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