Roma 2014 - As the gods will, la recensione

Ancora una volta Miike con As the gods will filma l'infilmabile, aderisce alla struttura del manga originale e inietta la sua ironia e il suo piacere sensuale per il gore

Critico e giornalista cinematografico


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L'ultimo film di Takashi Miike ha un inizio durante il quale si può anche impazzire di gioia. Senza spiegare nulla parte al massimo del ritmo con una classe in cui alcuni ragazzi sono cadaveri privi della testa e gli altri sono immobili e terrorizzati, sulla cattedra un demone che gioca ad Un-Due-Tre-Stella, chi perde (cioè si muove quando è girato) esplode in un tripudio di sangue. C'è tutto. C'è lo stile Miike che fonde assurdo, grottesco, gore, azione e grande autoironia e c'è l'idea alla base dei molti death game del cinema (Battle Royale ovviamente ma anche gli americani che hanno ripreso l'idea), cioè che sia la classe dei docenti, gli adulti, ad opprimere i ragazzi costringendoli alla violenza reciproca, mandandoli letteralmente a morte e infine c'è la paradossale ironia miikiana.

As the gods will in realtà viene da un fumetto (omonimo), quindi è più parente di quel che accade nella carta stampata che di quel che si vede al cinema, tuttavia si inserisce con grande coerenza nel torrente in piena che è il cinema dei giovani adulti che si ammazzano. Un po' perchè le storie in cui l'adolescente è al centro del destino del mondo sono in realtà terra di conquista nipponica e un po' perchè il grande successo di Hunger Games, è noto, viene dal Giappone e da Battle Royale per l'appunto.

La forza di As the gods will è quella di lavorare bene sul mistero, proprio come fanno i fumetti, cioè di lasciare moltissimi buchi senza inimicarsi lo spettatore, mescolare il grottesco e il comico nipponico con il disincanto di chi, come Miike, non crede in niente se non nel piacere e nell'istinto. Non è la prima volta che il regista lavora su adattamenti (la sua filmografia è tale che non c'è nulla che non abbia fatto) ma in questo caso si ha la netta impressione di una vicinanza particolare con il testo di partenza nella scansione della storia (di stanza in stanza) e nell'animazione delle creature (l'orso polare in finto stop-motion è un colpo di genio).

É un peccato quindi che anche quest'ultimo film risenta di quello che in molti casi è il difetto dei film di Miike, cioè di non reggere lungo tutta la sua durata con il medesimo impeto dell'attacco. A tre quarti As the gods will ha un momento di stanca fastidioso, nonostante la storia proceda di gioco mortale in gioco mortale, risente del calo di forma di una storia che appositamente non finisce e lascia una piacevole patina di mistero riguardo i suoi presupposti. Quest'ultimo elemento anche è tipico del cinema in cui gli adulti torturano e costringono i giovani ad una vita di dolore: non c'è mai una vera ragione che non sia il controllo o il livore.

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