[Roma 2013] Il Sud è Niente, la recensione

Presentato in Alice nelle Città, sezione collaterale del Festival di Roma, Il sud è niente segna il felice esordio alla regia di un lungometraggio del giovane Fabio Mollo.

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In un'edizione che si sta dimostrando non certo memorabile per il livello delle pellicole in corsa per il Marc'Aurelio d'Oro, stupisce e fa riflettere la decisione di relegare un film come Il sud è niente del giovane Fabio Mollo in una sezione seguita ma comunque collaterale come Alice nelle città.

Non stupiscono gli applausi già ricevuti al Festival di Toronto: al suo esordio alla regia di un lungometraggio, Mollo recupera il soggetto di Giganti (scritto da Andrea Paolo Massara), corto con cui si diplomò qualche anno fa presso il Centro Sperimentale di Cinematografia e lo sviluppa, senza annacquarlo eccessivamente, per creare un'opera prima di notevole impatto emotivo.

Protagonista è Grazia, giovane calabrese il cui nome suona quasi come una beffa, contrapposto all'aspetto androgino e ai modi bruschi della ragazza. A ridosso degli esami di maturità, dileggiata dai compagni di classe, Grazia vive con il taciturno padre (interpretato da un impeccabile Vinicio Marchioni) e si confronta quotidianamente con la pesante assenza del fratello maggiore Pietro, morto in circostanze misteriose (almeno per lei).

Il tutto in una Reggio Calabria che è al contempo paradiso di bellezza naturale e prigione di omertà, che grava sulla famiglia di Grazia con impietosa tracotanza.
 

Il sud è niente non è perfetto, anzi: la sceneggiatura, seppur costruita sulla base di un soggetto piuttosto accattivante, procede tra alti e bassi, alternando sapienti ellissi e fastidiosi didascalismi che sono un po' la cattiva costante del cinema italiano. A supplire a una qualità dialogica non sempre eccelsa, tuttavia, c'è una regia fluida e ricca di idee, sorprendentemente matura se paragonata alla scialba piattezza di certi registi italiani dal curriculum ben più cospicuo di Mollo.

Autentico faro del film è la giovane protagonista, Miriam Karlkvist, che non sbaglia nemmeno un battito di ciglia dall'inizio alla fine, dando vita a una performance di rara forza e verità. La sua recitazione contenuta, eppure mai sciatta, costituisce il collante più forte dell'intero film; stesso discorso vale per Marchioni, che con la protagonista costruisce duetti sinceramente emozionanti senza indulgere a patetismi inutili. Peccato per alcuni scivoloni evitabilissimi (il personaggio della nonna ha un sapore da romanzo popolare che cozza con la freschezza del racconto narrato, e Valentina Lodovini è impegnata in un ruolo talmente marginale da succhiare tempo prezioso alle linee narrative principali, ben più interessanti e funzionali al procedere della trama).

In conclusione: una bella sorpresa, un felicissimo esordio al lungo che promette bene e illumina un'edizione finora piuttosto avara di perle.

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