[Roma 2012] Populaire, la recensione

La vie en rose di Régis Roinsard riscuote un fiume di meritati applausi. Ecco la recensione di Populaire, opera prima fuori concorso al Festival di Roma...

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Chi tenta di emulare un capolavoro, rischia grosso.

Se poi il capolavoro è nientemeno che My Fair Lady, la posta in gioco è davvero alta. Tanto di cappello, dunque, al coraggio del regista esordiente Régis Roinsard, che col suo Populaire, presentato ieri sera al Festival del Cinema di Roma, ammicca continuamente al grande film di Cukor del 1964. Ambientato in un dopoguerra volutamente patinato e tenue, Populaire segue le vicende di Rose Pamphyle, goffa ma graziosa ragazza di paese che, a un futuro come casalinga, preferisce l’intrigante mestiere di segretaria. Assunta dal fascinoso Louis, Rose mostra da subito due caratteristiche innegabili: una spiccata predisposizione al disordine e alla gaffe e, con grande sorpresa del suo datore di lavoro, una straordinaria velocità nel battere a macchina. Colpito dal bizzarro talento della fanciulla e intrigato dalle scommesse fatte con l’amico Bob, Louis decide di prendere Rose sotto la sua ala protettiva e di allenarla strenuamente per farle vincere il titolo di dattilografa più veloce di Normandia.

In questo Festival del Cinema di Roma, la Francia sta facendo una gran figura, è innegabile. Dopo l’incantevole favola romantica di Valérie Donzelli, Main dans la main, ieri il pubblico si è sciolto in un applauso fragoroso al termine di Populaire, intenerito e conquistato dalla dolcezza di un’opera semplice ed efficace che omaggia la tradizione delle commedie anni ’50, di cui riesce a restituire appieno lo spirito, complici un lavoro meraviglioso di trucco, fotografia, scenografia e costumi, curati nei più minimi dettagli con un’attenzione appassionata e meticolosa.

La giovane protagonista, l’attrice Déborah François, oltre a dimostrare un’espressività duttile e una naturale genuinità piuttosto rara, incarna al meglio l’etereo ideale anti pin-up che vide in Audrey Hepburn la più fulgida ed irripetibile stella. Il suo look è ispirato a quello giovanile dell’indimenticata attrice d’origine olandese, ma evolve nella seconda parte del film verso un’eleganza meno naïf che echeggia quella della Grace Kelly hitchcockiana. E i richiami al maestro non si fermano all’abbigliamento della protagonista: i cinefili avvertiranno un brivido di piacere nel vedere la pedissequa citazione di una celebre scena di Vertigo – La donna che visse due volte.  

Lode anche al coprotagonista Romain Duris, che dà vita ad un personaggio, Louis, ben più complesso di quanto appaia all’inizio del film. Gravato anche lui, come il professor Higgins di cukoriana memoria, dal peso di un’indole competitiva e anaffettiva che lo porta ad accantonare le ragioni del cuore per concentrarsi unicamente sulla vittoria da conseguire, il bel capufficio ha una parabola di cambiamento forse addirittura superiore, per arco evolutivo, a quella della protagonista stessa.

Populaire è quindi una vera delizia per gli occhi e per il cuore, un My Fair Lady meno sfarzoso e più romantico che convince dall’inizio alla fine, e l’unico difetto che gli si può imputare è, tanto per cambiare, una relativa perdita di ritmo e di mordente nell’ultima mezz’ora, che comunque non intacca l’ottima impressione che lo spettatore porterà con sé una volta arrivato ai titoli di coda. Insomma, uno di quei film che ti fanno riconciliare col mondo e ti fanno uscire dalla sala col cuore piacevolmente zuccherato e dipinto rosa, in onore al nome della protagonista e al colore della Populaire, macchina da scrivere dal modello accattivante ma dalla tastiera piuttosto scomoda, che dà il titolo a questa chicca cinematografica assolutamente imperdibile.

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