[Roma 2012] L'Isola dell'Angelo Caduto, la recensione
L'esordio di Carlo Lucarelli alla regia è tratto da uno dei suoi romanzi più belli, ambientato nell'Italia fascista del 1925, ma è uno dei film più brutti visti al Festival di Roma...
Un altro esordio alla regia per un celebre scrittore italiano degli ultimi anni. Dopo Susanna Tamaro e Alessandro Baricco, tocca a Carlo Lucarelli.
Lucarelli corre invece il rischio di rimanere indelebilmente nella memoria. In senso negativo.
Tra i principali sospettati: “l'inglese” (un musicista de L'Aquila dedito a riti dionisiaci con moglie ninfomane), il delegato del partito fascista (un uomo mediocre con moglie ninfomane), il capo della milizia (un esagitato in preda a strambi tic alla bocca senza moglie). E se c'entrasse anche il diavolo?
Il commissario leggermente disilluso dovrà trovare la soluzione tra speziari anarchici, professori universitari al confino che vogliono leggere i giornali e indigeni analfabeti che però vedono e sentono tutto.
Il primo grande problema è la recitazione di Giampaolo Morelli, adorabile sbirro scavezzacollo per i Manetti (Coliandro, inventato proprio da Lucarelli) qui ridotto a recitare con una retorica imbarazzante. Impostato, ingessato e quindi ridicolo, Morelli è un festival di clichè e luoghi comuni dall'inizio alla fine (ai limiti dell'insostenibile una sequenza in cui il suo volto in primissimo piano campeggia pensieroso a destra del fotogramma mentre un uomo percosso da coliche intestinali, indotte da olio di ricino, emette feci rumorosamente a sinistra del campo).
Sbagliata la recitazione di Morelli (e non solo lui), sbagliato tutto il film. Il suo commissario è in quasi tutte le scene. Un vero regista, forse, lo avrebbe capito al volo. Lucarelli sceglie di inserire dei flash visivi di raro cattivo gusto durante la narrazione lineare, non trasmette il senso del tempo (e dire che l'ambientazione era il punto di forza di quel romanzo così affascinante) e arriva a una soluzione dell'enigma senza che si senta mai l'ebbrezza del giallo risolto.
Il ridicolo involontario è sempre dietro l'angolo come quando Morelli possiede la moglie dell'”inglese” non denudandosi mai (lei invece sì, e sempre in modo plastico; sequenza sgradevolmente maschilista) fino a che un campo lungo non ne svela le terga al termine dell'imbarazzante amplesso. Infine la canzone del '31 Lodovico di Ramo-Mascheroni viene incessantemente riproposta fino alla nausea (nei primi trenta minuti si sentirà una ventina di volte) producendo un effetto, anche in questo caso, involontariamente comico.
Il consiglio a Lucarelli è di tornare a scrivere e realizzare bei programmi tv. Il suo esordio alla regia uno dei film più brutti del Festival visti finora.