[Roma 2012] Il volto di un'altra, la recensione

Tra Wilder, Hitchcock e un pizzico di Von Trier, Pappi Corsicato crea un'opera imperfetta ma graffiante...

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“Nel futuro, ognuno sarà famoso per 15 minuti.” Il celeberrimo aforisma di Andy Warhol potrebbe essere la tagline ideale per il nuovo film di Pappi Corsicato, Il volto di un’altra, presentato stamattina alla stampa nell’ambito del Festival del Cinema di Roma. Dedicato alla memoria di Andrea Crisanti, faro della scenografia italiana recentemente scomparso e che ha curato l’allestimento del film in questione, Il volto di un’altra è in corsa per il concorso internazionale ed è, dopo Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, la seconda pellicola italiana potenzialmente vincitrice del Marc’Aurelio d’Oro.

Girato in Alto Adige, ambientazione insolita per Corsicato che ha sempre prediletto la sua nativa Napoli come location delle proprie storie, Il volto di un’altra narra le rocambolesche vicende di Bella, conduttrice di un programma televisivo sulla chirurgia estetica in pieno calo di popolarità perché, come dicono i responsabili della rete per cui lavora, “la sua faccia ha stancato”. Incapace di arrendersi all’evidente declino di gradimento, Bella ha un’accesa discussione col proprio marito, il chirurgo René, cui segue un incidente automobilistico causato dal giovane operaio fognario della clinica di René. Bella si sveglia col volto coperto di bende e circondata da giornalisti: è rimasta sfigurata, la sua carriera televisiva è giunta al capolinea. O forse no?

Se con Il seme della discordia, presentato a Venezia nel 2008, aveva finito per meritarsi un’unanime bocciatura, confezionando un prodotto piuttosto mediocre, con Il volto di un’altra Corsicato lancia un’efficace artigliata alla società dell’immagine. Nulla di innovativo, verrebbe da dire, ma più che sul contenuto vale la pena soffermarsi sullo stile narrativo e sulle fonti d’ispirazione della grammatica cinematografica usata dal regista partenopeo in quest’ultima opera. Come già visto, con toni certo più delicati, nell’incantevole Populaire, anche Corsicato si rifà ai grandi maestri della Hollywood anni ’50, in particolare a Billy Wilder nei momenti più leggeri e romantici e nella scelta musicale (che alterna sound vintage e sonorità popolari altoatesine), e ad Alfred Hitchcock per le scene di tensione, come quelle in bianco e nero legate agli interventi chirurgici che sfociano nel metacinema (plauso allo scambio di battute “ma perché qui siamo tutti in bianco e nero?” “sa, il dottore non sopporta la vista del sangue”).

Siamo felici di poter finalmente dire che Laura Chiatti ha trovato un ruolo calzante e in grado di mettere in risalto le sue (finora non valorizzate) doti interpretative. La vanitosa Bella è un personaggio negativo che diverte e affascina, per cui si parteggia a prescindere dalla legittimità o meno delle sue rivendicazioni. Buona prova anche di Alessandro Preziosi nel ruolo del marito René, che sapientemente alterna il ruolo di vittima e carnefice durante lo snodarsi della vicenda.

In conclusione, Il volto di un’altra convince, al di là di alcuni cali di ritmo qua e là e dell’inutilità della trama secondaria legata all’incombente arrivo di un asteroide, pronto a schiantarsi sulla Terra: questa spruzzata di Von Trier non disturba, certo, ma finisce per distrarre l’attenzione dello spettatore. Il graffio alla spettacolarizzazione ossessiva del dolore e allo strenuo, spietato inseguimento della popolarità da parte di chiunque, dalla star televisiva fino ad arrivare alla famigliola qualunque, è ben mirato e colpisce perfettamente il bersaglio, in un gioco delle parti pirandelliano in cui nessuno è chi sembra essere. Emblematica, in questo senso, l’avida suora interpretata da Iaia Forte, da sempre attrice feticcio di Corsicato.

E agli intellettuali snob che storceranno il naso per la scena finale volutamente repellente nella clinica, varrebbe la pena ricordare le entusiastiche ovazioni che continuano a ricevere film come Salò o Le 120 Giornate di Sodoma e La Grande Abbuffata, dove il comune buon gusto è stato vilipeso e violentato senza pietà in nome del sacrosanto impatto psicologico sul pubblico e, si dice, di un più ampio ed alto messaggio metaforico. Viva la faccia di un film come questo, che nel desolante panorama del cinema italiano ha il coraggio di osare con uno stile sopra le righe e lontano dall'insopportabile tediosità dei drammucoli triti e ritriti (come La scoperta dell'alba di Susanna Nicchiarelli, visto pochi giorni fa al Festival). Non sarà perfetto, ma meglio sbagliare nel tentativo di differenziarsi, piuttosto che fallire appiattendosi sulla banalità più stantìa.

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