Rogue One: A Star Wars Story, la recensione

Fiorenzo Delle Rupi ha recensito per voi Rogue One, il primo spin-off della saga diretto da Gareth Edwards

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Rogue One posterA meno di un anno di distanza da Episodio VII: Il Risveglio della Forza, Star Wars vive una seconda rivoluzione con l’avvento di Rogue One: A Star Wars Story, primo film “indipendente” ambientato nell’universo immaginato da Lucas ed estraneo alla classica ripartizione in trilogie (eppure, quanto mai legato a quei capitoli a doppio filo).

Se per Il Risveglio della Forza le aspettative e la tensione erano alte (dopotutto si parlava di restituire nuova vita a un franchise ormai considerato praticamente in declino e assente dal grande schermo per più di dieci anni), le aspettative relative a Rogue One erano più limitate, non fosse altro per il semplice fatto che il grande successo economico di Episodio VII aveva comunque assicurato un futuro alla saga e la sopravvivenza di Star Wars non era più in discussione.

Eppure - e qui sarà il tempo a darci ragione o a smentirci - la sensazione è che nei tempi la “piccola rivoluzione” di Rogue One sia destinata a lasciare il segno e a infondere vita ed energia alla saga stellare almeno quanto abbia fatto Il Risveglio della Forza.

Per cominciare con le coordinate di base, Rogue One rientra a pieno titolo nel filone dello Star Wars più “dark” e adulto, quello che da sempre nell’immaginario collettivo di appassionati e spettatori casuali vede la sua migliore esemplificazione ne L’Impero Colpisce Ancora e che da molti è considerato il capitolo più apprezzabile e sofisticato. Inserito temporalmente a ridosso della pellicola originale del 1977, che diede origine a tutta la saga, ha di fronte a sé diversi compiti apparentemente insormontabili: rendere avvincente una vicenda di cui è nota in primis la conclusione (il furto dei piani della Morte Nera), conciliare lo Star Wars “moderno” fatto di CGI, riprese e scenari mirabolanti con quello “arcaico” fatto di modellini, tecnologie sporche e usurate e ambientazioni vissute e, soprattutto, dimostrare che in quella galassia lontana lontana c’è spazio e libertà creativa sufficienti a raccontare storie secondo stili e sensibilità diverse al di fuori degli inossidabili parametri dei capitoli tradizionali che si sono rivelati il sistema di sicurezza, ma per certi versi anche un limite, del pur valido Episodio VII.

Proprio come gli umanissimi e fallaci protagonisti della pellicola, Gareth Edwards riesce inaspettatamente a compiere tutte e tre le missioni, regalandoci uno Star Wars diversissimo dalle pellicole che conosciamo nell’aspetto, nei ritmi e nei temi, ma che al momento giusto sa come riaccendere la fiamma e creare un ponte tra il vecchio e il nuovo, tra il sense of wonder della favola da bambino e la crudezza di una guerra realistica, tra un futuro proiettato verso nuovi orizzonti narrativi da esplorare e un passato che affonda le sue radici non solo nella scintilla creativa originale della pellicola del 1977, ma perfino negli anni precedenti, andando a ripescare concetti, scenari, situazioni e visioni da quel bagaglio creativo apparentemente inesauribile che Lucas, McQuarrie e compagni misero assieme a metà degli anni 70.

E se volessimo andare a cercare analogie metacinematografiche esageratamente complesse, potremmo perfino arrivare a pensare che gli sforzi dei protagonisti nell’atto finale della storia per trasmettere i piani al resto dell’Alleanza in attesa nei cieli del pianeta siano una metafora dell’intero sforzo creativo del film, che combatte con le unghie e con i denti per trovare un posto nell’olimpo della saga pur sapendo in cuor suo di essere un "outcast".

krennicSebbene Star Wars ci abbia abituato fin dalle origini al concetto di “individui improbabili che in circostanze straordinarie diventano eroi”, mai come in questo caso questo concetto è portato all’estremo: tutti i membri dell’eroica spedizione di Rogue One sono flawed goods, merce avariata, segnata dai drammi del passato e del presente, sfregiati da cicatrici fisiche o morali e arrivati, magari anche in giovane età, a credere che la galassia non abbia più nulla da offrire per loro... e viceversa.

Ma perché limitarsi agli individui? Anche i concetti e i “mostri sacri” apparentemente intoccabili dello Star Wars tradizionale diventano improvvisamente reali, sporchi e pragmatici. Salta all’occhio soprattutto il disincanto nei confronti della Ribellione, che se nei film classici poteva facilmente essere interpretata come il manipolo di eroi senza macchia e senza paura che giunge alla riscossa come il Settimo Cavalleggeri dei western d’annata, ora si scopre essere un’organizzazione anch’essa fallace e sporca, che sbaglia nella scelta delle lotte e delle cause, che discute sulla strada giusta da intraprendere e che fa uso di sabotatori e assassini. Nello spiazzante primo atto del film, nelle scene di guerriglia urbana ambientate per le visionarie vie di Jedah, quando in mezzo a strade orientaleggianti pattugliate dai soldati Imperiali, i commando di Saw Gerrera scoprono il volto sotto i loro turbanti e iniziano ad aprire il fuoco in una strada piena di civili terrorizzati e di bambini piangenti, ci si chiede addirittura se il rimando al realismo odierno non sia troppo, e se Star Wars non si stia addentrando in territori fin troppo complessi e sofferti.

Ma in realtà tutta la prima metà di Rogue One è spiazzante e inaspettata. Criticata da chi si aspetta delle guerre stellari più tradizionali (che viene ampiamente ripagato nel finale del film), è in realtà la parte più intrigante: in uno scenario fatto delle “consuete” (le virgolette sono d’obbligo, vista la genialità delle ambientazioni concepite per il film) location esotiche, di assaltatori, caccia TIE, pianeti inesplorati, stazioni spaziali e laboratori di ricerca, Edwards si prende il suo tempo per creare atmosfere, esplorare caratteri e dubbi dei personaggi, sperimentare nuove tecniche di regia dal flashback alla narrazione parallela su almeno cinque fronti diversi... lussi che i rigidi parametri degli episodi tradizionali non potevano concedere, e che indubbiamente ci offrono un lungo preambolo di taglio diverso, ma che confermano le potenzialità stilistiche, narrative e sperimentali che l’universo starwarsiano ha ancora da offrire a chi sa (e può) osare.

Nessuno è se stesso all’inizio della pellicola: non lo sono i personaggi, smarriti nei loro problemi irrisolti, non lo è la Ribellione, dilaniata tra la necessità di nascondersi senza combattere per sopravvivere e l’uso di tattiche e frange estremiste di cui il “rinnegato” Gerrera è solo la punta dell’iceberg, e non lo è il film, che - volutamente, è bene sottolinearlo - si muove su tempi, temi e stili molto lontani da quelli starwarsiani tradizionali.

Rogue One: A Star Wars Story

E quindi è proprio questo il triplice miracolo che Jyn, Cassian, K2 e compagni riescono a compiere: prima fanno ordine in se stessi, poi spronano la Ribellione a ritrovare la retta via (quanti di noi, ingannati dal trailer, pensavano che Rogue One fosse un segnale in codice usato per ingannare l’Impero... per poi invece scoprire che il nostro gruppetto di Ribelli è costretto per prima cosa a ribellarsi contro la Ribellione?) e infine traghettano anche la stessa pellicola sulla sponda opposta di un vasto fiume, riconducendo la prima metà sperimentale e inconsueta del film nei territori dello Star Wars più lirico e tradizionale del finale, senza che le due cose debbano necessariamente essere in contrasto, e anzi dimostrando che tradizione e innovazione possono felicemente convivere e perfino infondersi energia a vicenda.

Si potrebbe parlare ancora molto: delle innumerevoli citazioni e rimandi alla saga disseminati per tutto il film, destinati a fare la gioia degli aficionados più in calliti, della CGI utilizzata per far tornare a recitare personaggi e attori scomparsi da tempo, del tasso di mortalità da tragedia shakespeariana che segna tutta la vicenda (concediamoci almeno una beffarda risata retroattiva all’indirizzo delle premature polemiche sui reshoot annunciati in fase di realizzazione, che paventavano la sempiterna imposizione della Disney ad atmosfere più leggere e per famiglie... non certo in questo film!), ma farlo senza scivolare negli spoiler è impossibile, quindi rimanderemo questa discussione ad altre occasioni.

Concludiamo semplicemente dicendo che Rogue One è un ottimo film di guerra ambientato nell’universo di Star Wars. Ed evidenziamo come questo, nella sua semplicità, sia un passo importante verso un futuro ancora più luminoso per la saga: se è stato possibile rinarrare in modo avvincente e convincente I Magnifici 7 in quella galassia lontana lontana, quali porte creative e narrative questo film ha appena spalancato? Improvvisamente è lecito sognare uno spaghetti Western per lo spin-off sul giovane Han Solo. Un simil-Tarantino per quello su Boba Fett. E un Obi-Wan Kenobi in modalità Ultimo Samurai nel film a lui dedicato. Forse è ancora un sogno semi-proibito destinato a non realizzarsi, ma potremmo essere in procinto di assistere a un caso unico nella storia del cinema: quello di uno specifico genere, che si sta trasformando in un contenitore di generi. Se così sarà, guarderemo con ancora maggior entusiasmo e gratitudine a Rogue One, un film che, per parafrasare le parole di un certo cavaliere Jedi, ci ha fatto fare “il primo passo in un mondo più vasto.”

Rogue One: A Star Wars Story

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