Rock the Kasbah, la recensione

Molto velleitario e puerile nella satira politica, Rock the Kasbah viene risollevato dall'idea che Bill Murray ha del suo personaggio, complessa e umana

Critico e giornalista cinematografico


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È molte cose insieme Rock the Kasbah, ma non tutte valgono la pena di un biglietto.

La complessità di Bill Murray però, quella sì, è uno splendore da guardare per tutto il film.
Immaginando questa storia senza di lui ci si troverebbe di fronte una satira tra il costume e il politico, com'è uso di Barry Levinson, condotta attraverso un impresario da 4 soldi (figura tipica del cinema americano), un estenuante entusiasta, perennemente in trattativa, ossessionato dallo scovare talenti e magnificare il proprio operato. Attraverso di lui finiamo in Afghanistan, conosciamo la vera storia della prima donna che ha deciso di cantare in diretta nazionale e ci scontriamo con le guerre intestine e l'ingerenza americana in quei territori. Tutto deformato dalla voglia che l'impresario ha di trattare l'Afghanistan come fosse l'America, un'ostinazione tale che anche se l'ambientazione è desertica ad essere narrato è comunque un pezzo di Stati Uniti.

Perché quel che accade nel film è che Bill Murray piega questa storia spesso stucchevole non tanto al suo umorismo (molto contenuto e sacrificato a favore delle battute sul copione) ma alla sua idea malinconica di umanità. Il suo Richie Lanz non solo è un assurdo omino sempre eccitato e sempre positivo, costantemente intento a gettare il cuore oltre l'ostacolo, è anche una figura che proprio in quest'eterna positività trova un'amarezza e una malinconia che non hanno bisogno di musiche tristi, espressioni mogie o cocenti sconfitte per emergere, ma sono parte stessa di quell'iperbolica energia.
Richie Lanz riuscirà a far partecipare la sua voce scoperta in una caverna dell'Afghanistan all'X-Factor locale, si batterà perché la sua famiglia non si frapponga e poi per la sopravvivenza stessa della famiglia, in una sottotrama che coinvolge un mercenario interpretato da Bruce Willis e la prostituta di Kate Hudson. Farà di tutto tra trattative e proiettili ma mai avrà il beneficio di un'epica, sarà sempre guardato con pietà.

Non è quindi certo la parte politica che Rock the Kasbah centra, quella anzi è la parte più velleitaria e trascurabile, puerile e molto ingenua per come riduce questioni complicate ai minimi termini. Il centro è come questa serie di disavventure dicano qualcosa sull'irresistibile malinconia del mondo dello spettacolo, sulla forza propulsiva dell'etica statunitense e sulla mestizia che nasconde. Martellato dal successo che non ha avuto, Richie Lanz anela conferme dello statuto che ha inventato per sé stesso, i motti sulla propria abilità e gli aneddoti inventati.
Richie Lanz cerca di far diventare vere le bugie che racconta da anni e trovata un'opportunità ci si aggrappa con sprezzo della vita. E in questo tentativo così tenace e falsamente gioioso, nella maniera in cui Bill Murray sorride alludendo ben altro, c'è l'unico motivo di soddisfazione di Rock the Kasbah.

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