RoboCop, la recensione

In un'era ben più vicina alle possibilità (pur fantascientifiche) di RoboCop, questo remake vira sul politico spinto ma dona anche al personaggio un sentimentalismo da poco...

Critico e giornalista cinematografico


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Per questo nuovo RoboCop (film del quale, va detto, si poteva anche sentire il bisogno visto quanto ci siamo avvicinati allo scenario dipinto nel 1987) è stato scelto José Padilha, che si era messo in luce con i due bellissimi film Tropa de elite e Tropa de elite 2, sulle squadre speciali che in Brasile cercano di mantenere l'ordine nelle parti peggiori delle favelas. Con quei due film brasiliani dal sapore americano Padilha si fa notare e Robocop pare il progetto perfetto per lui: polizia, eccesso di ordine costituito, crimine esagerato, azione.

E non è un errore, da quel punto di vista questo nuovo Robocop è evidentemente messo in scena da qualcuno che ha un autentica paura dell'eccesso controllo che un eccesso di criminalità comporta, è spaventato da quello che la paura sfruttata dalla politica può causare e non è per nulla dalla parte di ciò che racconta (il punto di partenza migliore per un film, quello opposto). Purtroppo è tutto il resto a non funzionare.

Di fare paragoni con l'originale del 1987 non è proprio il caso, quello è forse uno dei film più grandi di quel decennio, probabilmente il più completo di un genio come Verhoeven e capace di parlare a tantissimi livelli con un cinema fatto sempre di carne (in quel caso fatta scontrare di continuo con la materia dura, il ferro, l'acciaio, le pallottole.... per sottolinearne la fragilità in un tripudio di spappolamenti, tutto un paio d'anni prima dell'arrivo nel mondo del cinema di Tsukamoto!). Non è il caso di fare paragoni perchè sarebbero ingiusti e soprattutto perchè a questo nuovo Robocop, tutta la storia di un essere di carne (materia molle) ibridato con pezzi di materia dura (il ferro) non interessa proprio, questo Robocop è un film dalle intenzioni politiche che dà grande spazio alle strategie di consenso dell'OCP attraverso la tv (in effetti un'idea che era già nell'originale), inventando un personaggio interpretato con la consueta ammirabile abnegazione da Samuel L. Jackson, e che si diverte con i poteri del robot come fosse un eroe da fumetto le cui potenzialità esaltano.

Purtroppo quel che accade è che una sceneggiatura veramente pessima affonda di continuo il film in una puerile banalità. Tutto ciò che si può suggerire viene spiegato, si insiste sul fatto che vengono levati i sentimenti a Murphy (addirittura, Gary Oldman operando il cervello dichiara "Ora gli stacco la coscienza"). E soprattutto c'è un bisogno di dare all'agente diventato robot un rapporto da recuperare con la sua famiglia (nel precedente esisteva solo nelle memorie semi perdute e ripetute in loop) che causa un continuo ricorso al pietismo degli sguardi tristi del figlio oppure, in un'altra scena d'involontaria comicità, porta a RoboCop che lo analizza con la realtà aumentata e accanto al suo volto compaiono scritte come "Bambino triste al 75%" o "Carattere traumatizzato".

Ed è un peccato perchè invece il discorso sull'uso che l'America (davvero) fa dei droni, ibridato con i modelli robotici di fantasia del film, è perfetto. Solo la prima scena, in una Teheran conquistata e occupata, con i robot che marciano per "mantenere la pace", è perfetta, è la distopia più vicina che possiamo immaginare, resa con il giusto livore. Ma è solo un momento.

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