Robinson: The Journey, in viaggio verso i limiti della realtà virtuale - Recensione

Crytek accetta la sfida del PlayStation VR e sfiora il capolavoro: la recensione di Robinson: The Journey

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La realtà virtuale, devono essersi detti in Crytek nei brainstorming che hanno dato i natali a Robinson: The Journey, deve essere portata al limite, esplorata in ogni suo anfratto, persino sfidata, ignorandone i compromessi, contrappasso di una tecnologia ancora da affinare, esaltandone le potenzialità, appena visibili, in questi primi esperimenti, tutt’altro che espresse nella maggior parte delle produzioni che la chiamano in causa.

Hanno scommesso forte i ragazzacci teutonici che da sempre hanno il pallino per la grafica, sfornando quello che, a tutti gli effetti, può dirsi un imprescindibile must buy per tutti i possessori di PlayStation VR. Non è un capolavoro senza macchine, né tanto meno una killer application capace, quasi da sola, di smuovere le masse a compiere il grande salto verso questo nuovo modo di intendere e concepire i videogiochi. Semplicemente è un esempio lampante dei giochi del domani, di quelli che probabilmente non mescoleranno più di tanto le carte in tavola sul piano prettamente ludico, ma che offriranno uno spettacolo audio-visivo tale da farli risultare falsamente inediti, insoliti, innovativi.

[caption id="attachment_163549" align="aligncenter" width="600"]Robinson The Journey screenshot Lo strano congegno di Robin tornerà utile anche per catalogare tutte le specie presenti sulla superficie di Tyson III, così da sbloccare le relative voci nell’enciclopedia.[/caption]

Robinson: The Journey, del resto, di originale non ha nemmeno la trama che, al contrario, pesca a piene mani dal romanzo di Daniel Defoe, citato nel titolo stesso. Non c’è una nave che naufraga nell’oceano, ma a grandi linee la scintilla che alimenta e introduce all’avventura è la medesima. L’Esmeralda, gigantesco vascello spaziale in missione esplorativa nella galassia, si schianta sulla superficie di Tyson III, un pianeta vergine, paesaggisticamente mozzafiato, abitato da velenosissimi insetti e giganteschi dinosauri.

Il giovanissimo Robin, apparentemente unico sopravvissuto al disastro, non verrà coinvolto nella classica epopea il cui unico fine è la sopravvivenza. Congegni ipertecnologici si prendono cura di lui, tenendo lontana la fauna dal suo rifugio, procacciando cibo, preoccupandosi di fornirgli acqua potabile. Non ci sarebbe alcuna avventura, insomma, se non fosse che il nostro è caratterizzato da una vivace curiosità. Dopo un anno intero, passato inutilmente ad attendere i soccorsi, si è messo in testa di scoprire qualcosa di più sul pianeta, oltre che di conoscere quale guasto abbia causato la distruzione dell’Esmeralda.

"Hanno scommesso forte i ragazzacci teutonici che da sempre hanno il pallino per la grafica, sfornando quello che, a tutti gli effetti, può dirsi un imprescindibile must buy per tutti i possessori di PlayStation VR"

Accompagnati da un cucciolo di T-Rex, imprescindibile per il superamento di certi ostacoli, e da un piccolo robot, generoso di rimproveri e ramanzine, carente di suggerimenti e indicazioni utili alla riuscita dell’escursione, Robin dovrà esplorare diverse location di Tyson III, risolvendo enigmi sia per proseguire nel suo cammino, sia per scovare banche dati ricche di informazioni sull’Esmeralda e il suo equipaggio.

Non ci saranno oggetti da trovare e combinare tra loro. Tutto si risolve attraverso l’intensivo sfruttamento di un dispositivo, misteriosamente simile al Move, capace di far lievitare alcuni elementi dello scenario. Dietro ad una roccia, per esempio, può nascondersi un sentiero; un rottame può tramutarsi in una scala con cui raggiungere una posizione sopraelevata.

Alcuni puzzle, pochi a dire la verità, vi impegneranno sul serio, ma la maggior parte delle volte in cui resterete bloccati sarà per colpa di un’interfaccia non proprio intuitiva. Gli oggetti con cui interagire si confondono con lo sfondo, gli obiettivi della missione non sono mai del tutto chiari, difficilmente il software lascia intuire che il giocatore abbia effettivamente avuto la giusta intuizione.

Bisogna avere pazienza, insomma, preparandosi all’idea di perdere più tempo del previsto, e del dovuto, in alcune sezioni in cui si perde letteralmente la bussola.

In questo senso, gioca la sua parte, in positivo questa volta, il level design che, apparentemente, dipinge un mondo estremamente ampio, ricco di sentieri e strade alternative. Si tratta, per lo più, di una sensazione illusoria, ma aiuta ad immergersi in questo mondo semplicemente ammaliante, vibrante di forme di vita di ogni specie e dimensione.

[caption id="attachment_163551" align="aligncenter" width="600"]Robinson The Journey screenshot Il gioco supporta solo ed esclusivamente il Dualshock 4. Il più delle volte riesce perfettamente a simulare i movimenti delle braccia di Robin, ma in certi casi, durante le scalate di qualche parete, per esempio, capita di incappare in un game over proprio per una latente carenza di precisione.[/caption]

Sì, perché il senso del viaggio si nasconde proprio nei panorami mozzafiato che Robinson: The Journey propone di continuo, nella gioia, infantile, di avvicinarsi di soppiatto ad un gigantesco Brontosauro, nell’illusione di poter sfiorare con le dita la coda di uno Pterodattilo.

Graficamente, allo stato attuale, non si trova nulla di meglio per PlayStation VR. Nemmeno Batman Arkham VR, che tra l’altro si avvale di schermate fisse, riesce a proporre un tale grado di immersione. Pop-up e aliasing, in diversi casi, rovinano il quadro d’insieme, ma l’effetto generale, l’impatto, anche uditivo, della scena è sempre oltre ogni più rosea aspettativa. Restare sbalorditi sul ciglio di un burrone, affascinati dagli scorci di Tyson III è una costante che vi accompagnerà lungo tutte le otto, nove ore necessarie per giungere ai titoli di coda.

I limiti della realtà virtuale a cui si accennava in apertura, sono proprio questi. Robinson: The Journey propone un’avventura longeva quasi sino allo estremo, noncurante degli effetti collaterali, in termini di motion sickess, che l’uso prolungato del PlayStation VR può causare all’utente. Nel tentativo di vendersi come un’esperienza ben più completa e complessa della solita tech demo, coinvolge il videogiocatore in un viaggio che può anche risultare spossante, dal quale è consigliabile prendersi diverse pause, contrastando il naturale desiderio di continuare nell’esplorazione del pianeta, che sulle lunghe potrebbe persino diventare controproducente. Questo è un limite della realtà virtuale, più che del gioco stesso, ma bisogna tenerne conto.

[caption id="attachment_163550" align="aligncenter" width="600"]Robinson The Journey screenshot Per contrastare il sopraggiungere della motion sickeness, gli sviluppatori hanno fatto in modo che il movimento del corpo dell’avatar non sia libero, ma che proceda a scatti di una trentina di gradi per volta. L’esplorazione risulta meno fluida, ma questo espediente riesce effettivamente a ritardare il sopraggiungere di mal di testa e nausea.[/caption]

Robinson: The Journey è una bellissima e intensa avventura da vivere, a tutti gli effetti, in prima persona. Si tratta di uno dei primissimi giochi che utilizza intelligentemente PlayStation VR e ne sfrutta a dovere tutte le potenzialità. Non è un gioco esente da difetti, sia chiaro. Qualche sbavatura grafica, una cronica mancanza di chiarezza nelle missioni da svolgere, alcuni enigmi complessi da risolvere solo per la difficoltà con cui si individuano gli elementi con cui interagire.

Eppure, mentre si fugge spaventati da un T-Rex, mentre ci si perde nella contemplazione di uno dei tanti panorami mozzafiato di Tyson III, è impossibile non pensare che, effettivamente, il futuro dei videogiochi passi anche per la realtà virtuale. Assolutamente da giocare se si è deciso di investire in PlayStation VR.

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