Rive, la recensione
Il Gunstar Heroes dei giorni nostri: la recensione di Rive
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Roughshot è un cacciatore di tesori intergalattico. Quando a bordo della sua navicella spaziale riceve le immagini di un gigantesco relitto alla deriva tra le stelle, non ci pensa due volte ad abbordarlo ed intrufolarsi tra le sue metalliche viscere. Sarà l’inizio della fine: al suo interno, il sistema di sicurezza, attivato e gestito da un logorroico droide con qualche rotella fuori posto, è ancora attivo, tanto che il nostro resterà inesorabilmente imprigionato nel vascello. Con l’imperativo di imboccare la via di casa, magari trovando al contempo qualcosa meritevole di essere depredato, il pilota spaziale, caratterizzato dallo scarso interesse a curare la propria igiene personale e la battuta (volgare) sempre pronta, vivrà in prima persona un’avventura fatta di innumerevoli esplosioni, giganteschi robot da abbattere e un numero infinito di modi diversi in cui perdere la vita.
Rive è uno shooter bidimensionale difficile, ostico, poco accondiscendente verso chi non ha alcuna voglia di migliorarsi game over, dopo game over. Evita di essere frustrante grazie alla generosissima distribuzione dei checkpoint, ma ogni scontro, ogni stanza zeppa di presenze ostili, non farà altro che riscrivere, al rialzo s’intente, gli standard di difficoltà dell’epopea. Eppure si resta incollati allo schermo, con il pad sempre più umido di sudore, pur ben stretto tra le mani, ammaliati dal fascino retrò di un gioco in cui la rapidità di riflessi, l’istinto e persino un pizzico di fortuna sono tutto.
"La noia, la ripetitività, insomma, sono del tutto sconosciuti al gioco"[caption id="attachment_160491" align="aligncenter" width="600"] Oltre alla mitragliatrice e ai cannoni speciali, che ovviamente andranno ricaricati raccogliendo i proiettili sconfiggendo i nemici, Roughshot può hackerare sia i terminali con cui aprirsi il passaggio, sia specifici robot che possono tramutarsi in torrette di supporto o in droidi utili a riparare la sua navicella.[/caption]
Peccato che gli scontri con i boss siano pochissimi, che raramente si incappi in qualche inatteso rallentamento, che si giunga ai titoli di coda in sette ore al massimo. Sono questi gli unici difetti degni di essere citati, quest’ultimo, tra l’altro, smorzato dalla presenza di altre due modalità di gioco, che ripercorrono la stessa avventura inserendo ulteriori ostacoli di cui tenere conto, e da futuri contenuti aggiuntivi di cui ancora non si sa nulla, ma che con ogni probabilità prolungheranno l’epopea di qualche livello extra.
Rive è classico e moderno allo stesso tempo, il punto d’incontro di Darius con Metal Slug. La notevole difficoltà che caratterizza il gioco, sulle prime, potrebbe scoraggiare i neofiti, gli utenti meno abili con il pad. Eppure la creatura di Two Tribe è distante eoni dal sadismo di un qualsiasi Dark Souls. Vuoi per la distribuzione dei checkpoint, vuoi perché la pratica rende sensibilmente migliori, più rapidi e capaci di affrontare qualsiasi avversario, è solo questione di tentativi prima di avere successo, prima di sormontare, con indescrivibile piacere, l’ennesimo ostacolo. Ovviamente consigliato ai veterani, che finalmente potranno godere di un sequel spirituale di Gunstar Heroes, potrebbe regalare immense soddisfazioni anche a chi si è sempre tenuto alla larga da giochi del genere. Two Tribes, insomma, chiude col botto.