Ritorno al Bosco Dei 100 Acri, la recensione

Uggioso, riflessivo e con grande voglia di poesia Ritorno al Bosco dei 100 Acri rifiuta l'avventura per la contemplazione

Critico e giornalista cinematografico


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Le prime scene di Ritorno al Bosco dei 100 Acri spiazzano e stupiscono come poche altre volte può capitare di fronte ad un film di una major americana.

Ritmo compassato, riprese della natura, al tramonto con quella che si presenta come luce naturale, colori desaturati e poca profondità di campo, attesa, rarefazione e controluce, Winnie The Pooh incontra The Tree Of Life. Più che ad un inizio sembra di assistere alla fine di un altro film, quando completata l’avventura il ritmo si affievolisce e siamo pronti a salutare i personaggi mentre loro stessi si dicono addio.

Accade infatti che Christopher Robin (il bambino delle avventure di Winnie The Pooh che dà il titolo originale al film) sta per andarsene dal bosco, è maturato e non giocherà più con i personaggi. La cosa clamorosa però è che in questo finale che fa in realtà da inizio al film è Winnie The Pooh ad essere consolato! Christopher Robin gli dice “Sarò sempre qui con te” e non viceversa, cioè è la persona reale che consola il personaggio immaginario, confermandogli che rimarranno sempre uniti spiritualmente.

È tutto molto triste e crepuscolare, un tono poetico che il film non dismetterà ma che alla lunga lo condannerà. In un costante clima plumbeo che fornisce l’impressione che abbia appena piovuto o stia per piovere, Christopher Robin diventerà adulto a Londra dimenticando tutto fino a che, un giorno, per non rovinare il rapporto con sua figlia lascerà il lavoro che lo assorbe troppo per una capatina al bosco dove ritroverà (a fatica) il se stesso di una volta assieme a Pooh, Tigro, Pimpi, Tappo, Ih Oh, Uffa e via dicendo. La loro dolce inettitudine e inadeguatezza alla concretezza della vita adulta lentamente riporterà Christopher Robin ai veri valori infantili.

Il problema di questo film che si presenta come il tipico prodotto di Marc Forster (in cui esiste un forte contrasto tra la realtà e la percezione che il protagonista ne ha, a metà tra il letterario e l’immaginario, fino a che queste due dimensioni non trovano una sintesi) è che non sa cosa essere e fa cattivo uso della sua ottima tecnologia e dell’ottimo character design che dà ai personaggi una consistenza da peluche perfetta.

Ritorno al Bosco Dei 100 Acri punta tutto sulla tenerezza più che sull’intrattenimento (come invece faceva solo un anno fa Peter Rabbit, produzione in tutto e per tutto simile ma decisamente più riuscita e vivace), punta sul dialogo più che sullo stupore, sull’amarezza più che sull’entusiasmo o sull’avventura, rifiutando anche di ricalcare quella che ad un certo punto sembra la sua ispirazione, cioè Hook. La parabola di ritorno al mondo fantastico e al bambino che era da parte di Christopher Robin non passa per un’avventura ma per qualche mesta considerazione e un rocambolesco ritorno finale in città. Un po’ poco per qualsiasi tipo di pubblico ma decisamente nulla per tenere dei bambini bloccati in un cinema per due ore.

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