Risorto, la recensione

Corretto e chiaro, immacolato e lineare, Risorto proprio per la sua logica manca l'obiettivo di raccontare il formarsi della fede

Critico e giornalista cinematografico


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Non è semplice raccontare ogni volta la stessa storia. Non lo stesso genere di storie, si badi bene, ma proprio la stessa storia, quella di Gesù, figlio di un falegname che si professa invece figlio di Dio, nato da un vergine. L’uomo che voleva rivoluzionare la società della Galilea e per questo divenne inviso ai potenti fino ad essere tradito dai suoi discepoli e morire in croce nel pubblico ludibrio, salvo poi resuscitare tre giorni dopo e ascendere al regno dei cieli. Non è semplice per niente. Il cinema l’ha presa alla lettera per decenni nei kolossal e nei film meno riusciti, fino a che sembrava non potesse più essere raccontata.

Adesso che invece i film si sono specializzati, che i punti di vista strani e inusuali sono la regola, possono esisterne versioni come La Passione di Cristo di Mel Gibson (centrata solo su alcune ore di questa grande trama e solo sulla dialettica tra spirito immortale e carne mortalissima) o altre come Risorto (centrata su un personaggio inventato che guarda gli eventi che conosciamo dall’esterno da una prospettiva scettica). A partire proprio dalla crocefissione fino ad arrivare alla resurrezione del titolo, questo film dal chiaro intento catechistico non celebra la mitologia cristologica della salvezza dai peccati, cioè non tramanda proprio l’insegnamento del Nuovo Testamento, ma cerca di riprendere il miracolo della fede, quel momento assurdo in cui un uomo capisce di credere in qualcosa di superiore. In questo però è contraddittorio.

Se la fede di per sè implica un dogma, credere senza avere prove, e in quello sta la sua forza, Risorto invece converte un soldato romano (è lui il protagonista) con la forza dei fatti, con le apparizioni di Cristo e i miracoli. Inevitabilmente il risultato è meno clamoroso. Risorto è quindi l’opposto dell’astrazione e di conseguenza indaga l’opposto stesso del sentimento trascendentale. Un film sulla fede come Il cattivo tenente, in cui una conversione avviene per la forza del perdono, per quel mistero che induce una persona ad interrogarsi così tanto fino ad essere sopraffatto dall’evidenza di un sentore divino, è uno che sonda la sensazione interiore del credente, Risorto invece converte un non credente mostrandogli quel sovrannaturale che non ha mai visto prima.

Non meraviglia dunque che ad uno svolgimento così elementare e ad ambizioni così limitate corrisponda una messa in scena corretta e incolore. Sempre tenendo in mente un intento evidentemente catechista (Risorto non è L’ultima tentazione di Cristo, non è fatto cioè per porsi delle domande quanto per fornire risposte) tutto è chiaro e privo di ombre sia metaforicamente che fotograficamente. Tutto il film è mostrato con quei colori saturi che le serie tv hanno abbinato a quell’epoca storica e con la chiarezza espositiva che contraddistingue il cinema più semplice. Non per questo brutto, ma di certo modesto.

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