Rise - La Vera Storia di Antetokounmpo, la recensione

La nostra recensione di Rise, film sulla storia dei fratelli Antetokounmpo diretta da Akin Omotoso e disponibile su Disney+

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La recensione di Rise, su Disney+ dal 24 giugno

Spesso le storie sportive sono storie di riscatto e, proprio per questo, la cosa più bella delle narrazioni di questo genere è la possibilità che offrono di osservare la drammaticità che si cela dietro un’eccellenza apparentemente perfetta. Anche Rise di Akin Omotoso, a suo modo, insiste sulla chiave di “fatica e riscatto” per raccontare la storia dei tre fratelli Antetokounmpo, cestisti nigeriani emigrati in Grecia che grazie alla dedizione e al sacrificio della loro famiglia (e ovviamente al loro talento) arrivano a giocare in NBA segnando una serie di primati. In Rise però l’apparenza perfetta è molto più quella estetica che quella sportiva e, nonostante la storia sia in sé molto drammatica (tra razzismo e immigrazione) il film edulcora questa realtà in ogni modo possibile fino a renderla irreale, fredda, banale.

A partire dall’emblematico titolo, Rise si afferma come un film che fa della retorica del riscatto il suo cavallo di battaglia e trova la prospettiva in questo senso più congegnale usando il punto di vista corale dell’intera famiglia. La famiglia Antetokounmpo viene infatti osservata in ordine cronologico a partire dai genitori (interpretati da Dayo Okeniyi e Yetide Badaki) che coraggiosamente scappano dalla Nigeria e, arrivati in Grecia come clandestini, vivono di espedienti per riuscire a mantenere i loro figli. Dopo questo capitolo iniziale, Rise comincia a raccontare i figli (e quindi lo sport arriva parecchio dopo) concentrandosi sui due più grandi, Giannis e Thanasis, dal momento in cui scoprono il basket in tarda adolescenza fino ai Draft NBA del 2013 in cui il più grande viene preso nei Milwaukee Bucks, permettendo alla famiglia di trasferirsi negli USA ed essere finalmente cittadini con dei diritti e non più “invisibili”.

Calato in un mondo sempre luminoso e a tinte sgargianti, colorato e visibilmente disneyiano, Rise si concentra quasi totalmente sull’aspetto privato disinnescando però la serietà e l’aspetto tragico della situazione familiare, costruendo un mondo impossibile ed irreale dove il disagio c’è (ci sono i razzisti, ci viene raccontata la fatica di ottenere lavori regolari e di vivere con dignità mentre si è costretti ad espedienti) ma non sembra mai così grave, così limitante, così serio.

Guardando Rise sembra di assistere, più che a un film sportivo, al lungo pilot di una serie che non comincia mai. I momenti di gioco vero e proprio, inoltre, sono pochissimi: l’impressione è che quindi la voluta costruzione della figura di idoli sportivi sia miserabilmente fallita, perché né vediamo il risultato degli sforzi compiuti (attraverso appunto i risultati sportivi, che conosciamo solo nelle immagini d’archivio a fine film) né percepiamo realmente, attraverso il racconto biografico, il collegamento forte e necessario tra il gioco e il riscatto da un certo tipo di realtà sociale.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Rise? Scrivetelo nei commenti!

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