Rimini, la recensione

A Rimini, d'inverno, si muove il cantante più mesto che sia mai arrivato dall'austria, e il suo esiguo pubblico non è da meno

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Rimini, il film di Ulrich Seidl in uscita il 25 agosto

I film di Ulrich Seidl si fa un po’ fatica a descriverli, perché vivono di atmosfere al tempo stesso note e immaginabili ma poi realizzate con toni, tempi e mestizie tutte loro. È un cinema che affonda in esperienze concrete, come il senso di isolamento, lo stordimento dell’alcol o la delusione di una vita di fallimenti ma soprattutto un amore strano, unico e particolare per il ridicolo. Tutto questo lo usa per costruire ragionamenti, parabole umane o come in questo caso per affondare nell’amarezza di Richie Bravo e della sua vita a Rimini.

Lui è un cantante melodico austriaco, un uomo sovrappeso con i capelli lunghi e il fare da star da balera. È in là con gli anni ormai ma ha un pubblico ancora più agé, donne che lo adorano e adorano le sue canzoni smielate e sentimentali, le sue basi da pianola, il suo fare da uomo di mondo senza esserlo, galante con cattivo gusto, provinciale senza sembrare sconfitto. Per aggiungere amaro ad amaro poi la storia sì svolge d’inverno a Rimini, con inquadrature, scene, fondali e ambienti selezionati con cura tra i più nebbiosi, tristi e respingenti. Richie Bravo gira per le strade con pelliccioni, si esibisce per pubblici davvero esigui e poi offre da bere alle signore che fa arrossire con dei baciamano volgarissimi. Si potrebbe davvero passare tutta la recensione solo a descrivere questo personaggio che, del resto, Seidl dipinge lungo tutto il film. Eppure, incredibile, non è lui il punto.

Nella sua vita piomberà una figlia che aveva completamente dimenticato, che aveva lasciato da piccola e ora trova adulta e arrabbiata. I rapporti di forza saranno ribaltati con Richie Bravo sotto schiaffo di una donna che vuole solo soldi (e tanti!) da lui, e lui che elemosina un po’ di affetto vero in un mare di finzione. È la storia di un uomo che ha vissuto una vita in minore imbastendo rapporti di facciata con le donne, che trova qualcuno che lo tratti alla medesima maniera, come un mezzo per raggiungere altro. Richie voleva la fama (mai raggiunta) e la figlia vuole i soldi.

Tuttavia sono i dettagli di Rimini a fare il film e cercare il suo senso, non la trama, quella è un puro pretesto, un intreccio buono per non annoiarsi. Il film è creato dagli ambienti, dall’arredamento, dai capelli di Richie, dalla maniera sbruffona con la quale ordina dell’alcol, i cartonati a grandezza naturale di se stesso che tiene nella sua casa, lo schifo delle lucine. Il film insomma è quella dimensione lì di Rimini, posto che non ha niente della follia estiva e tutto della vita dei dimenticati, marginali che la occupano quando non c’è nessuno (stupenda l’idea di quelle persone, probabilmente immigrate, che stanno ferme per strada, tutte vestite di nero, come soprammobili per la vie che Richie percorre, come fantasmi di un film di Miyazaki dei quali non sapremo mai niente ma incombono come punti neri in quadri bianchi).Per pochi come per Seidl, è sempre il grande quadro ad importare, le sensazioni, l’ambiente e l’aria che si respira, quelle parlano di un’umanità che nessuno racconta eppure riconosciamo così chiaramente. Ma non si tratta del grande quadro all’interno di un film, il grande quadro composto in tutta una filmografia!

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