Right Now, la recensione

Aziz Ansari ritorna sulle scene con Right Now dopo un anno e mezzo di esilio e sceglie Spike Jonze per riprendere quello che diventa uno show intimo

Critico e giornalista cinematografico


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Solo in America può esistere qualcosa come il “come back show”, e Right Now lo è a tutti gli effetti.
È lo spettacolo di stand-up con cui Aziz Ansari torna a farsi vedere in pubblico un anno e mezzo dopo le accuse (invero molto controverse e meno chiare di quelle che hanno colpito altre figure di primo piano) che avevano causato la sospensione della sua serie Master Of None. La scelta determinante per questo come back però non è stata il timing o il fatto di ripartire dalla stand-up, quanto quella di prendere Spike Jonze, miglior dimostrazione possibile che anche la ripresa di uno spettacolo può beneficiare, e molto, di un occhio che sa lavorare sulle immagini.
Quella alla Brooklyn Music Academy è un’adunata gigantesca (spesso vediamo la dimensione e la quantità di persone nel pubblico) e Jonze la trasforma in un racconto intimo, vicino, consentendo ad Aziz Ansari di essere più serio del solito e addirittura di trovare momenti confidenziali. Tutto diventa credibile grazie a quella messa in scena.

Come noto l’inizio e la fine di uno spettacolo sono i momenti in cui più si sente la mano di chi dirige, quelli più creativi, e in questo caso fin dal primo fotogramma, da quell’attacco a strappo si capisce che c’è Spike Jonze dietro.
Videocamera a spalla, strade di New York alla sera, Pale Blue Eyes dei Velvet Underground di sottofondo, alto contrasto, bassa luminosità, molta grana. C’è un’aria dimessa fantastica, sembra l’attacco di Amarillo By Morning (un microdocumentario stupendo che segnò il ponte tra la carriera nei videoclip di Jonze e quella al cinema), Aziz Ansari in maglietta cammina per strada parlando con Jonze anche se non sentiamo cosa dice, c’è una luce così tranquilla e un fare così dimesso che introducono perfettamente il “nuovo Ansari” post-scandalo che verrà presentato e si sposano alla perfezione con Pale Blue Eyes. Un minuto e mezzo di camminata e direttamente dal marciapiede Ansari apre una porta, che lo conduce dritto sul palco: da uomo comune in strada a protagonista applaudito di uno suo spettacolo davanti ad una folla in meno di 2 secondi, con solo una parete a separare le due dimensioni. Oltre che sorprendente è un’immagine geniale che dice tutto.
È il lavoro di un regista vero: trovare un’immagine unica, memorabile, che tutti desiderano imitare perché vorrebbero definisse anche loro.

All’interno del teatro Jonze rimarrà lì sul palco accanto a Ansari con la sua videocamera a spalla per tutto il tempo, tanto che lui lo deve presentare al pubblico. Ci saranno le inquadrature più classiche frontali e laterali ma spesso anche quella a spalla di Jonze che lascia di sfondo le uscite di sicurezza, le persone nel backstage e i fari controluce. Gli va vicinissimo quando serve, lo scruta come fosse l’attore di un film. Si nota così ancora di più quello stile lo-fi anni ‘90 e quella fotografia ad alto contrasto.
È effettivamente una maniera inedita di riprende la stand-up comedy, una che rifiuta il vecchio motto per il quale tutto deve essere chiaro e il più rigoroso possibile perché è la performance a contare, e invece rivendica uno sguardo personale su quella performance. Così personale che in certi punti, quando serve, Spike Jonze riesce addirittura ad annullare il pubblico, a fare cioè in modo che non si percepisca la sua presenza (l’esatto opposto di quello che fanno gli altri spettacoli che anzi tengono molto a trasmettere il calore delle persone in sala).

Right Now del resto è uno show-confessione che prende di petto le accuse subite, e per un’ora scherza sul destino delle star distrutte dai media, è uno show che vuole in alcuni momenti lasciarti solo con Aziz Ansari e convincerti di quel che ha sentito, di come sia cambiato, di cosa sia maturato dentro di lui. Il rischio è di essere un po’ ridicolo, di essere autoindulgente o suonare falso ma è questa messa in scena che lo scampa.
Michael Jackson, R. Kelly e tutti quelli che abbiamo scoperto essere dei criminali, come li guardiamo, come li giudichiamo e perché li giudichiamo? Ancora di più, in che posizione ci mettiamo noi in tutto questo? L’unica deviazione da questo tema Ansari la fa quando parla della nonna che è morta, dell’ultimo periodo in cui era difficile parlarci, delle domande sempre uguali che gli rivolgeva. Racconta di aver imparato che quel che inizialmente gli sembrava orrendo e irrispettoso (cioè non darle delle risposte autentiche ma mentirle e dirle quel che vuole sentirsi dire per farla smettere) alla fine è diventata una necessità e forse era meglio così. È davvero difficile non vederci un parallelo con le scuse che fa riguardo accuse mai davvero chiarite che in molti già all’epoca considerarono pretestuose e non davvero gravi ma che nondimeno gli sono costate la sua serie tv, Master Of None.

Con questo passo Aziz Ansari e Spike Jonze arrivano al finale a braccetto. Non solo la scrittura dello spettacolo, come sempre, è costruita ad arte per condurre il pubblico attraverso un percorso che in questo caso culmina in una chiusa un po’ smielata, ma molto intima e personale, ma anche la messa in scena. Più ci sì avvicina alla fine più il pubblico è inquadrato e non più come massa, da dietro le spalle di Ansari, ma singolarmente, uno per uno, in maniere più tipiche del cinema che della televisione, come fossero personaggi e non persone. E quando Jonze si avvicina ad Ansari per i 5 minuti della tirata finale, quella che spiega il "right now" del titolo, la sensazione è che sia cambiato tutto, che quella chiusa non avrebbe mai funzionato allo stesso modo con un’altra inquadratura più tradizionale o un’altra musica.

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