Riflessione (Vidblysk), la recensione | Venezia 78

Valentyn Vasyanovych affronta con Riflessione il tema delle conseguenze del conflitto russo-ucraino proponendo un ritratto umano ben gestito a livello emotivo e metaforico

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Riflessione, la recensione

Il regista ucraino Valentyn Vasyanovych, dopo Atlantis presentato nel 2019 nella sezione Orizzonti, ritorna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con Riflessione (Vidblysk) in cui affronta il dramma della guerra russo-ucraina dando spazio alle conseguenze delle atrocità e dell'orrore subito dai cittadini.

La storia è ambientata nel 2014, primo anno del conflitto, e ha come protagonista il chirurgo ucraino Serhiy, ruolo affidato a Roman Lutskyi, la cui vita privata è resa complicata dal rapporto non sempre semplice con la figlia, l'ex moglie e il nuovo compagno della donna. Il medico viene poi catturato dai militari russi ed è costretto ad assistere a terribili torture e morti. Tra i prigionieri durante gli scontri appare poi, a sorpresa, anche Andrii (Andriy Rymaruk), il partner dell'ex coniuge. Serhiy riesce a riottenere la libertà, ma la fine della prigionia potrebbe non essere la conclusione della pressione mentale subita.

Sul grande schermo si assiste in modo quasi freddo agli eventi con una regia molto asciutta priva di primi piani, tuttavia questo approccio registico non impedisce in nessun modo di comprendere ciò che sta subendo il protagonista o capirne le reazioni, soprattutto nella seconda parte del racconto. L'introduzione del conflitto viene compiuta in modo interessante tramite il parallelo con un momento di divertimento: mentre gli adulti osservano lo scontro innocuo si inizia a parlare delle tensioni politiche, introducendo i protagonisti proprio prima che si ritrovino ad affrontare un abisso di violenza. La drammaticità di quanto sta per accadere al giovane chirurgo diventa poi chiara con una sequenza che trasporta lo spettatore direttamente all'interno del veicolo che si imbatte in un posto di blocco nemico. Vasyanovych mantiene il suo approccio distaccato anche durante le torture mostrate senza evitare i dettagli più brutali e nel capitolo successivo della storia in cui Serhiy cerca di ritornare alla vita normale, cercando un approccio personale - sospeso tra filosofia e teologia - a quanto gli è accaduto e alla situazione del mondo che lo circonda, anche nel caso di un volatile che si schianta contro il vetro di casa sua, evento che traumatizza la figlia e fa riflettere entrambi sull'esistenza, giungendo ovviamente a conclusioni personali e diverse.

Lutskyi sostiene bene il peso di un ruolo complesso basato prevalentemente sui conflitti interiori del chirurgo, lasciando che siano il suo corpo e i suoi silenzi a far comprendere la sofferenza provata e il senso di alienazione che sta affrontando. La sceneggiatura di Vasyanovych decide infatti di concentrarsi sul dramma personale di un uomo, senza dare particolare spazio a spiegazioni socio-politiche o momenti di riflessione, usando le interazioni tra il chirurgo e la sua famiglia per offrire un breve sguardo alla situazione generale affrontata dai cittadini ucraini durante il conflitto, riuscendo così a non perdere di vista l'obiettivo della narrazione e mantenendo alta l'attenzione degli spettatori.
Il filmmaker convince inoltre con la fotografia del lungometraggio che enfatizza in modo efficace la cinica freddezza con cui si decide il destino degli ostaggi e la solitudine vissuta dal protagonista, alle prese anche con attimi di profonda oscurità nella propria mente.

Riflessione paga un po' il peso dell'approccio stilistico e narrativo del regista in alcuni passaggi, in cui è difficile lasciarsi coinvolgere dalle situazioni portate in scena, convincendo però nella sua grande attenzione per la costruzione della messa in scena e nell'analisi psicologica del suo personaggio principale. Il film non è sicuramente una visione semplice per gli spettatori, pur essendo innegabile la sua forza espressiva e metaforica.

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