Ricomincio da me, la recensione
Quello che manca a Ricomincio da me non è solo una peculiarità del racconto che ne motivi l’ordinarietà, ma anche l’intensità: semplicemente, manca l’empatia con i personaggi.
La recensione di Ricomincio da me, al cinema dal 7 dicembre
Scritto e diretto da Nathan Ambrosioni, Ricomincio da me è un film di quotidianità, di situazioni ordinarie e per questo richiederebbe, per non cadere nella noia o nel già visto, di un buon approfondimento dei personaggi e/o di una regia quantomeno “orientata” verso un’idea o un’astmosfera. Ricomincio da me pecca invece su entrambi i lati.
L’idea guida del film è quella dello scarto tra identità personale e ruolo materno, ma come è possibile rendere questo tema discorso se manca una base chiara per comprendere tale conflitto? Come vive Toni questi rapporti, cosa deve sacrificare, e quindi cosa ci dicono di lei le scelte che compie?
Oltre a ciò, la trama principale non aiuta di certo a rendere il tutto più interessante: la vita che Toni desidera, infatti, è quella di insegnante e il suo conflitto è riuscire ad iscriversi all’università nonostante le sue lacune. Non che in sé questa trama non possa funzionare, ma messa giù in modo così ordinario come lo fa Nathan Ambrosioni (vediamo Toni che manda mail, fa qualche riunione, ne parla sì e no con i figli) la cosa diventa a dir poco noiosa.
Perché, quindi, dovrei affezionarmi proprio a Toni e alla sua storia? Quello che di base manca a Ricomincio da me non è solo una peculiarità del racconto che ne motivi l’ordinarietà, ma anche l’intensità: semplicemente, manca l’empatia con i personaggi, un’empatia che la regia non crea né Camille Cottin trasmette con la sua interpretazione. Per quanto non si tratti di un brutto film o di un film mal scritto, ciò che infastidisce è che non ci fornisce mai un vero motivo, registico o narrativo, per essere guardato. Che forse è anche peggio.
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