Ricky Stanicky - l'amico immaginario, la recensione

L'ultimo film di Peter Farrelly è un classico del suo stile demenziale, con al centro uno straordinario John Cena.

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La recensione di Ricky Stanicky, il nuovo film diretto da Peter Farrelly, in uscita su Amazon Prime il 7 marzo.

Ricky Stanicky è soprattutto due cose. Il definitivo ritorno di Peter Farrelly alla commedia demenziale dopo la deviazione verso quella sentimentale e oscar bait di Green Book (2018). E un magnifico veicolo per il talento di John Cena, attore dotato che finora si è dovuto accontentare del terzo posto in un ideale podio degli ex-wrestler di Hollywood, mangiando la polvere di The Rock e Dave Bautista. Ricky Stanicky (come in precedenza The Suicide Squad) ne mette in luce carisma e duttilità, rivelandone le doti comiche e tematizzando la sua ricerca di credibilità artistica col ruolo di un attore fallito che si scopre un talento incredibile: “sono più di questo: sono un grande attore” dice Cena per bocca del suo personaggio. E può darsi che abbia proprio ragione.

Un gruppo di amici (Zac Efron, Andrew Santino e Jermaine Fowler) ha inventato un amico immaginario, Ricky Stanicky, che fin dall’infanzia li tira fuori dai guai. Se c’è da scaricare una colpa, inventare una scusa, schivare un impegno, il fantomatico Ricky è il loro asso nella manica. Un giorno però c’è bisogno che Ricky si presenti davvero, in carne ed ossa. Per tutta risposta i tre assoldano “Hard Rock” Rod (Cena) attorucolo tossicomane che si esibisce in locali squallidi con rifacimenti in chiave masturbatoria di classici del rock (tra cui un’esilarante versione di Baby, I Love Your Way). Rod diventa Ricky Stanicky, ma la situazione comincia a sfuggire di mano.

Piaccia o non piaccia il loro tipo di umorismo, ai fratelli Farrelly non si può negare una personalità inconfondibile nel modo di concepire e costruire le gag. Per quantolontano dagli eccessi di un tempo (ne abbiamo parlato qui) e nonostante l’assenza di Bobby in sceneggiatura,Ricky Stanicky è un saggio perfetto del Farrelly-pensiero. L’umorismo viene essenzialmente da due situazioni-tipo: l’equivoco, quando si ride perchè qualcuno o qualcosa sembra ciò che non è; e l’accumulo, quando la gag si spinge talmente oltre le barriere del gusto e della correttezza politica da guadagnarsi una specie di rispetto paradossale che suscita la risata. Il genio di Ricky sta nell’invenzione di un personaggio che incarna totalmente questi due aspetti: tutto di lui è phony, falso, necessariamente equivoco. Ma c’è anche una radicalità, figlia di una genuina sofferenza e voglia di riscatto, che gli permette di spingersi alle estreme conseguenze nell’identificazione col ruolo assegnatogli.

In fondo Rod/Ricky è l’ultimo esponente di una linea di personaggi farrellyani fallimentari, fondamentalmente tristi e disillusi, che trovano l’unico possibile riscatto nella performance e nella proiezione di un’identità fittizia (pensiamo al trio “sotto copertura” di Tutti pazzi per Mary).A far funzionare la comicità del duo, anche quando l’ironia sembra scricchiolare, è questo fondo di malinconia che aggiunge tridimensionalità alle loro maschere iperboliche, e che non casualmente ha consentito a loro attori-feticcio come Jim Carrey una transizione perfettamente logica e coerente verso ruoli drammatici. Per fortuna l’ironia di Ricky Stanicky non scricchiola quasi mai, azzeccando diverse gag memorabili che lo mettono di diritto fra le migliori commedie di questo inizio anno.

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