Rick and Morty (terza stagione): la recensione
Ancora più violenta, sempre episodica, ma tremendamente efficace, è la terza stagione di Rick and Morty: la recensione
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Arrivati alla terza stagione, ci aspetteremmo un intreccio più forte, caratteri in evoluzione, una mitologia più marcata. E invece la serie ideata da Dan Harmon e Justin Roiland segue la stessa strada delle prime due stagioni. Magari Morty sarà un po' più disilluso nei confronti di Rick, e lo stesso, scienziato accetterà qualche limite alla propria onnipotenza di fronte all'idea di perdere una famiglia e un universo a cui in qualche modo perverso ha dimostrato di tenere. Però tutto rientra sempre nei ranghi di una serie molto episodica, che risolve il cliffhanger senza troppe conseguenze per la trama, che imbastisce un mezzo conflitto famigliare – la separazione tra Beth e Jerry – risolvendolo però alla fine della stagione. Ci sono riferimenti a Birdperson e Tammy, a Evil Morty, alla natura di Beth, ma non abbiamo mai la sensazione che questo sarà veramente importante per il futuro.
Nei suoi momenti migliori Rick and Morty vive di una frenesia del racconto che getta nella mischia un'idea geniale dopo l'altra, senza altra spiegazione che non sia quella del contesto. Accade nello scontro incalzante tra il Rick purificato e quello maligno di Rest and Ricklaxation, accade con l'apparizione di due piccoli gemelli superpotenziati in The Rickchurian Mortydate. E capita che questa follia controllata sia palesemente il perno di episodi interi, come accade in Pickle Rick, episodio manifesto della stagione e per certi versi punto di non ritorno per lo show. Mischiando action anni '80 e fantascienza alla Cronenberg, Rick and Morty ci mette di fronte ad un episodio che è cult ancor prima della messa in onda, che sa benissimo di esserlo e che sfonda la quarta parete più di quanto ogni riferimento di Rick potrà fare.
Qui, come nei migliori episodi a tema di Community, la gioia del racconto si mischia ad un controllo maniacale sulle strutture della narrazione e sui limiti di una storia che si vanta in ogni istante di non averne. Rick and Morty dà l'illusione di essere puro caos, ma è sempre un caos controllato, che parla alla consapevolezza dello spettatore. E che, tornando al discorso iniziale sull'evoluzione dei personaggi, spesso sa togliere più di quanto concede. Come i più cinici e spudorati personaggi della televisione recente, anche Rick esercita un grande fascino su di noi, che vorremmo compiacerlo pur sapendo che in cambio riceveremo solo insulti. Rick è il Dr. House, è Frank Underwood, è Sherlock, è Malcolm Tucker. E noi allora siamo Morty, non puri, ma ingenui, capaci di emozionarci sinceramente alla visione della squadra di superdifensori dell'universo, quelli di Vindicators 3: The Return of Worldender. Ci penserà la scrittura a ricordarci che tipo di show stiamo guardando.
Il primo aggettivo che viene da accostare a Rick and Morty è intelligente, e non è un caso. Come Rick nei confronti degli altri personaggi, la serie non deve nulla ai suoi spettatori. Né scontati percorsi di redenzione, né storyline stagionali che striderebbero con il nichilismo dello show. Rimane uno show cerebrale, stratificato, esaltante e divertente. Senza dubbio geniale e ispiratissimo.