Rhino, la recensione | Venezia 78

Rhino di Oleh Sentsov è un film privo di idee, che non propone nulla se non delle scene di violenza costruire molto bene

Condividi
Rhino, la recensione | Venezia 78

Rhino di Oleh Sentsov inizia con un piano sequenza da capogiro. Senza apparenti stacchi di montaggio la macchina da presa gira per le stanze di una modesta casa ucraina degli anni Novanta, raccontando con estrema sintesi attraverso salti temporali e scenette simboliche diversi anni della storia di una famiglia. Tutto molto bello, peccato che dopo questo slancio iniziale si assesti invece su un linguaggio totalmente diverso e nel voler raccontare la travagliata parabola criminale di un giovane (detto appunto “rinoceronte” per un bernoccolo che ha sulla fronte) non riesca mai a smarcarsi dalla banalità.

La banalità di Rhino non è però tanto quella registica. La regia infatti è invisibile, non si mostra mai in modo lampante (e di per sé non è un male, anzi è comunque una qualità che bisogna saper ottenere). È invece la storia in sé, il modo in cui pretende di emozionare e di creare empatia, ad essere di un qualunquismo insapore. Rhino è la più classica delle gangster story: ci sono l’ascesa, il climax e poi il declino. C’è la violenza. C’è la componente morale. Ma tutti questi elementi sono il mero stereotipo di quel mondo e nient’altro.

Tolta la fotografia naturalistica che dà un tono più autoriale e indipendente, Oleh Sentsov (qui anche sceneggiatore) ci lascia di fatto di fronte a una storia non solo prevedibile ma priva di un vero punto di vista e che potrebbe essere quella di qualsiasi b-movie. Rhino (Serhii Filimonov), il protagonista, è infatti sempre raccontato nel suo comportamento violento e quando arriva l’ammonizione (perché deve arrivare) arriva nella forma di un’aforisma anch’esso di una banalità sconcertante, con le tagline e le smorfie tipiche del criminale da bozzetto.

L’effetto, purtroppo, è quello di un totale allontanamento dal personaggio. Per sentirsi vicini a Rhino manca uno scarto che lo renda più fallibile e meno roccioso. Forse tiene tutti i suoi dilemmi per sé, oppure effettivamente per un’ora e mezza assistiamo ad un personaggio che semplicemente gode del fatto di essere così spietatamente violento. 

La nota positiva sono, forse paradossalmente, proprio le scene di violenza. Queste scene sono infatti costruite benissimo a livello sonoro, sono orchestrate in modo molto naturale tanto che sembra di esserci veramente dentro. La violenza è sensoriale, immersiva, in un certo senso anche magnetica. Da questo punto di vista Oleh Sentsov ha un grande talento.

Per il resto però Rhino è un film che non lascia assolutamente nulla, che non riesce a dire niente che non sia quello che il protagonista dice di sé. Si vede che dietro c’è un grande sforzo produttivo: il set design è ricchissimo, ci sono un sacco di sparatorie, inseguimenti, tantissimi ambienti. L’apparato estetico tuttavia non potrà sopperire, per chi lo richiede, a una lettura che vada più in profondità.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Rhino? Scrivetelo nei commenti!

Vi ricordiamo che BadTaste è anche su Twitch!

Continua a leggere su BadTaste