Resident Evil: Welcome To Raccoon City, la recensione

Una cospirazione farmaceutica raccontata con il tono dei film di Carpenter è la maniera in cui Resident Evil Welcome To Raccoon City interpreta il presente

Critico e giornalista cinematografico


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Resident Evil: Welcome To Raccoon City, la recensione

È un’unica lunga notte di pioggia che i protagonisti si prendono tutta in pieno, come in Hard Rain, quella che ci accompagna per almeno tre quarti di Resident Evil: Welcome To Raccoon City. Una notte di pioggia accompagnata dal suono elettronico d’atmosfera calcato su quello di John Carpenter, come del resto tutto il film sarà modellato su quell’estetica e soprattutto su quei tempi dilatati nei quali far comunque avvenire l’azione (ma anche su quei font!). È senza dubbio la parte migliore di un ottimo film, quella in cui viene creata Racoon City come ambientazione, un luogo che sembra già una città fantasma, abitata da relitti pronti ad essere attivati e che ben presto fantasmi lo saranno perché, lo scopriamo ben presto, la città verrà distrutta all’alba.

In quest’ambientazione piomba il classico personaggio femminile forte della saga, non erede di Milla Jovovich (primo perché sarebbe impossibile, secondo perché non ha mai quell’uso iperbolico del corpo da cinefumetto) ma molto in linea con il videogioco originale, come del resto tutto il film unisce i primi due titoli della serie. È Claire Redfield (una Kaya Scodelario perfetta), venuta in cerca del fratello Chris (un Robbie Amell perfetto per farci capire che non sarà mai un vero protagonista). I due insieme ad un nuovo arrivato della stazione di polizia (Leon) e alcuni poliziotti si troveranno a scoprire cosa si nascondeva sotto Raccoon City e perché sta per saltare tutto in aria. Ah! E lo faranno con dovizia di mostri, alcuni prelevati pari pari dai giochi.

Johannes Roberts fa un lavoro pazzesco di ambienti, crea una mappa fedele al gioco e dotata di una grandissima personalità, gli ambienti, le strade, le stazioni di polizia e la grande villa vivono sia del proprio modello che di una loro presenza. A partire da questo, dalla scenografia e dalla maniera in cui è illuminata (di nuovo, fedelmente alla saga ma in questo caso ai capitoli più avanzati con grafiche più raffinate) tutto il film può permettersi di trascurare la sua trama convenzionale e concentrarsi su creare una nuova visione di Resident Evil al cinema, una maniera ancora sconosciuta al cinema di leggere il racconto della mostruosità umana che crea mostri mutanti.

La saga di Paul W. S. Anderson e Milla Jovovich aveva proprio altri standard di fantastico e iperbolico, questo invece è un film con i piedi per terra (si fa per dire), duro, splatter, spaventoso e che ha capito che il buio di Distretto 13 o di 1997: Fuga da New York, che la sensazione di accerchiamento e di minaccia di La cosa, sono il vestito migliore per Resident Evil. Che insomma è il cinema complottista anni ‘70 ciò che serve per un cinema complottista anni ‘20, in cui più che la politica è la farmacia ciò che inquieta e scatena dubbi, è quello che le autorità e i potenti vogliono fare al nostro corpo il terrore che serpeggia nella società.
In un momento in cui nessuno ancora lo ha fatto è questo Resident Evil, tra tutti, il film che tra diversi anni guarderemo per ricordare l’aria che si respirava nel 2021.

Potete rimanere aggiornati su Resident Evil: Welcome To Raccoon City grazie ai contenuti pubblicati nella nostra scheda.

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