Requiem: la recensione

La recensione della miniserie Requiem, prodotta dalla BBC e distribuita da Netflix

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Una villa inquietante, specchi rotti, presenze oscure, un suicidio inspiegabile. Parte da queste premesse Requiem, serie della BBC distribuita a livello internazionale da Netflix. Si tratta di un piccolo progetto in sei episodi, creato e sceneggiato da Kris Mrksa, appartenente al genere della ghost-story tipicamente british (da Henry James a M.R. James). L'intreccio si prende le sue larghe deviazioni nel corso delle puntate, ma sempre ritorna e infine aderisce perfettamente al canone del particolare genere horror britannico. Ne risulta un prodotto non insapore, ma al tempo stesso non incisivo quanto vorrebbe essere.

Matilda Gray è una violoncellista di successo che si reca, in seguito ad un drammatico evento, nella cittadina di Penllynith. Qui si imbatte nel mistero legato alla scomparsa di una bambina di nome Carys, avvenuta nel 1995. Esiste una cortina di segreti da infrangere dopo decenni, qualcosa di misteriosamente legato ad una villa, ad attori della vicenda che cercano di tenere il segreto o che viceversa preferiscono non rievocare il dramma di quei giorni. Matilda viene inesorabilmente risucchiata nella spirale delle indagini esponendosi in prima persona, e sullo sfondo del dramma umano, che in altri contesti basterebbe a se stesso, emergono delle presenze sovrannaturali e molto pericolose.

Come detto, la caratteristica saliente di Requiem, almeno per grandissima parte dello svolgimento della storia, è che la parentesi drammatica basterebbe ampiamente a giustificare la vicenda. Le puntate, tutte dirette da Mahalia Belo, hanno un incedere drammatico, che gioca sulla scoperta, sull'indagine, sui vuoti da riempire nell'intreccio. In altri contesti, questa potrebbe essere una storia di riconciliazione o un dramma famigliare come tanti. In realtà è solo una storia di fantasmi come tante. Ce ne accorgeremo avvicinandoci alla conclusione, quando le sfumature orrorifiche prenderanno il sopravvento fino ad un finale che non lascerà alcun dubbio sulla necessità di questo elemento nella trama.

Fino a quel momento, solo alcuni sporadici momenti – ma nulla di simile a quanto visto nei primi minuti del primo episodio – ci ricorderanno il sottotesto horror. In altri casi sarà la regia a giocare sull'inquietudine degli scenari e la confusione degli spazi nei quali si gioca la vicenda. Requiem condivide quindi alcune caratteristiche salienti del genere. Il contesto rimane quello dell'isolamento giocato su più livelli (protagonista, villa, comunità). Inoltre, c'è un retaggio, o una colpa, che affondano nel passato; ci sono i bambini come tramite prediletto per il sovrannaturale; c'è un lavoro d'atmosfera che supplisce alla violenza visiva. E, su un doppio livello, si lavora anche sulla mente della protagonista, ben interpretata da Lydia Wilson, punto di vista principale sulla vicenda.

Requiem – per citare una serie molto simile degli ultimi anni ricordiamo Remember Me, sempre della BBC – è anche una storia di riconciliazione, famiglie problematiche, segreti, personaggi che non riescono a perdonarsi e personaggi che non hanno intenzione di chiedere perdono. Le storyline sono molte, troppe. La sfida consiste nel prendere per mano lo spettatore, trascinarlo in questo grande mistero senza rivelare tutto subito e conservando una certa attenzione anche in vista del finale. Requiem ci riesce a metà. Non tutte le sottotrame funzionano, anzi. Ci sono piccoli spunti lasciati a morire, il ritmo conosce dei momenti di stanchezza, vari personaggi e rapporti sono abbozzati. In questa serie che non fa mai paura e che fatichiamo moltissimo a definire horror, lo stesso lavoro d'atmosfera non è mai così forte o anche solo interessante come vorremmo. In definitiva, a questo progetto comunque godibile manca una certa identità.

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