Reminiscence, la recensione

Reminiscence di Lisa Joy vuole essere un film nolaniano sulla memoria, ma non ha dimestichezza né con i generi né con la costruzione della trama

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Reminiscence, la recensione

C’è poco da fare: Reminiscence, l’esordio al lungometraggio di Lisa Joy - co-creatrice della serie Westworld insieme al marito Jonathan Nolan - vuole proprio essere un film nolaniano. Questa ambizione si vede in come cerca di mescolare il tema centrale della memoria con il genere sci-fi e il ritmo del thriller, in come prova a proporre sequenze d’azione atipiche, in come costruisce i dialoghi con battute che suonano come aforismi. Ecco, questo è l’obiettivo, ma il risultato è decisamente lontano dall’originale.

Reminiscence è infatti un film che punta subito in alto, allo status di film a grosso budget ma dal cuore d’oro (un immaginario più autoriale, dal mood filosofico/dark del “romanticamente tormentato”), e nella cornice di una Miami post-apocalittica racconta la storia d’amore tra l’investigatore privato Nick (un Hugh Jackman monocorde e svogliato) e la cantante Mae (Rebecca Ferguson, altrettanto bidimensionale). I sogni rubati di Inception si sostituiscono qui ai ricordi che Nick fa rivivere ai suoi clienti grazie a una ex tecnologia militare, immergendoli in una sorta di vasca sensoriale e proiettando ciò che vedono. È proprio l’occasione del ricordo che scatena la storia d’amore: Mae tuttavia ha molti più segreti di quanto lasci credere, e dopo la sua misteriosa scomparsa la verità comincerà pezzo dopo pezzo ad affiorare.

Quello che Reminiscence riesce a fare meglio, ovvero proprorre una realtà scenograficamente convincente, è purtroppo anche ciò che fa meno. Lisa Joy infatti ha bisogno di costruire le premesse di un mondo alternativo, ma di questa Miami allagata a causa dell’aumento delle temperature e ribaltata da anni di guerre di confine e di rivolte intravediamo solo qualche scorcio, la percepiamo come distante. Dal poco che si vede di questo mondo ci chiediamo perché non se ne veda di più, perché la regista non ci lasci esplorare. Anche perché, alla fine, Reminiscence è esattamente un noir: come fa allora l’indagine di Nick a prescindere dall’ambiente, sociale e quindi anche estetico? Come fa una storia post-apocalittica a disinteressarsi al mondo che racconta? Se la storia d'amore è centrale, non è comunque possibile renderla unica e interessante senza proporla da una precisa prospettiva.

Tra scene d’azione macchinose, prive di spinta e dinamismo nel mero ritmo degli stacchi di montaggio - dove tutto sembra più lento di quello che in realtà è - e personaggi di cui sappiamo solo quello che sé stessi dicono su di loro - parlano per aforismi misteriosi, per il resto non vengono mai raccontati attraverso gesti o comportamenti - Lisa Joy non riesce a infondere alla regia qualcosa che significhi più della storia su carta. Una storia a sua volta traballante, dove alla fine tanto si parla ma non riesce mai ad arrivare un chiaro significato su cosa significhi qui la memoria, ricordare, né si riesce ad apprezzare la trama in sé per quanto è mal spiegata. 

Il tempo Reminiscence ce l’ha eccome, ma lo spreca dilungandosi e ripetendosi per poi arrivare alla più banale e prevedibile delle conclusioni. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire: le ambizioni di fare filosofia attraverso il cinema non possono prescindere dalla chiarezza discorsiva. E Lisa Joy compie questo grandissimo errore.

Cosa ne dite della nostra recensione di Reminiscence? Scrivetelo nei commenti!

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