Reminiscence, la recensione
Reminiscence di Lisa Joy vuole essere un film nolaniano sulla memoria, ma non ha dimestichezza né con i generi né con la costruzione della trama
C’è poco da fare: Reminiscence, l’esordio al lungometraggio di Lisa Joy - co-creatrice della serie Westworld insieme al marito Jonathan Nolan - vuole proprio essere un film nolaniano. Questa ambizione si vede in come cerca di mescolare il tema centrale della memoria con il genere sci-fi e il ritmo del thriller, in come prova a proporre sequenze d’azione atipiche, in come costruisce i dialoghi con battute che suonano come aforismi. Ecco, questo è l’obiettivo, ma il risultato è decisamente lontano dall’originale.
Quello che Reminiscence riesce a fare meglio, ovvero proprorre una realtà scenograficamente convincente, è purtroppo anche ciò che fa meno. Lisa Joy infatti ha bisogno di costruire le premesse di un mondo alternativo, ma di questa Miami allagata a causa dell’aumento delle temperature e ribaltata da anni di guerre di confine e di rivolte intravediamo solo qualche scorcio, la percepiamo come distante. Dal poco che si vede di questo mondo ci chiediamo perché non se ne veda di più, perché la regista non ci lasci esplorare. Anche perché, alla fine, Reminiscence è esattamente un noir: come fa allora l’indagine di Nick a prescindere dall’ambiente, sociale e quindi anche estetico? Come fa una storia post-apocalittica a disinteressarsi al mondo che racconta? Se la storia d'amore è centrale, non è comunque possibile renderla unica e interessante senza proporla da una precisa prospettiva.
Il tempo Reminiscence ce l’ha eccome, ma lo spreca dilungandosi e ripetendosi per poi arrivare alla più banale e prevedibile delle conclusioni. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire: le ambizioni di fare filosofia attraverso il cinema non possono prescindere dalla chiarezza discorsiva. E Lisa Joy compie questo grandissimo errore.
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