Relic, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020

Le interpretazioni delle tre protagoniste sostengono con bravura Relic, un inquietante horror psicologico diretto da Natalie Erika James

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La regista Natalie Erika James compie il suo esordio alla regia con un horror psicologico tutto al femminile e Relic, presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2020, nonostante alcune scene sovrannaturali disturbanti, prova a esplorare il senso di colpa e l'elaborazione del lutto tramite l'espediente ormai classico della casa infestata.

L'anziana Edna (Robyn Nevin) è scomparsa da alcuni giorni e nel tentativo di ritrovarla arrivano nell'area isolata dove vive la figlia Kay (Emily Mortimer) e la nipote Sam (Bella Heathcote), che nell'abitazione trovano una serie di post-it, alcuni dal significato criptico, e coinvolgono la polizia.
Edna riappare però da sola e le sue condizioni di salute, fisica e mentale, sembrano in progressivo peggioramento. Kay inizia a valutare un possibile ricovero in una casa di riposo, mentre Sam avanza l'ipotesi di trasferirsi dalla nonna. I comportamenti dell'anziana assumono dei contorni inquietanti mentre la casa di notte diventa sempre più minacciosa.

Le tre protagoniste costruiscono bene i legami madre-figlia al centro della trama: Bella Heathcote delinea una giovane un po' incerta pensando al proprio futuro e si scontra più volte con il personaggio affidato all'esperta Emily Mortimer, incredibilmente intensa nella sua interpretazione di una donna dal carattere maggiormente razionale e freddo che deve fare i conti con i sensi di colpa e la distanza che contraddistingue i suoi rapporti con gli altri membri della famiglia. Nevin, infine, è brava nel gestire i repentini cambi di atteggiamento di Edna e i comportamenti dalle sfumature terrificanti.
Il deterioramento della salute mentale dell'anziana viene ben rappresentato dal labirinto di stanze, corridoi e spazi senza uscita che si nascondono dietro le pareti della casa dove si svolge quasi l'intera storia creata da Natalie Erika James in collaborazione con Christian White. La regista fatica però a trovare un equilibrio tra gli aspetti sovrannaturali e le evidenti metafore psicologiche, lasciando fin troppo spesso alle sue star il compito di far avanzare una narrazione che delega agli spettatori la missione di dare un significato agli eventi, come accade in particolare con un finale aperto a numerose interpretazioni.

La fotografia curata da Charlie Sarroff cerca di attribuire sfumature alle sequenze in notturna e claustrofobiche, mentre la colonna sonora firmata da Brian Reitzell non brilla per originalità pur risultando piuttosto efficace nell'enfatizzare l'angoscia e la disperazione delle tre protagoniste.
La scelta della demenza senile come punto di partenza della storia di Relic attribuisce all'opera la capacità di insinuarsi nella mente degli spettatori che, difficilmente, non avranno mai fatto i conti con l'ansia di vedere le persone amate perdersi nella propria mente senza più trovare una via di uscita. La filmmaker non sempre riesce a raggiungere il proprio obiettivo e più di una scena suscita maggiormente perplessità rispetto all'inquietudine voluta, tuttavia il film regala una performance davvero convincente di tre attrici la cui bravura mette in secondo piano anche i passaggi meno riusciti della sceneggiatura.

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