I motivi che spingono due assassini e bugiardi seriali a impressionarsi per le accuse (peraltro opinabili) mosse loro da un quindicenne cui hanno appena evitato la galera si vanno ad aggiungere alla pesante nube grigia di implausibilità che grava su
Le Regole del Delitto Perfetto, serie che - duole dirlo - non si è mai preoccupata più di tanto della coerenza psicologica dei propri protagonisti, eccezion fatta forse per Annalise Keating (
Viola Davis). Stavolta, ci troviamo di fronte a un Asher (
Matt McGorry) che, dopo aver dimostrato in diverse occasioni una comprensione profonda del dramma dell'abuso infantile di Bonnie (
Liza Weil), sembra improvvisamente dimenticarsene in
Don't Tell Annalise, quarta puntata della terza stagione di
Le Regole del Delitto Perfetto.
Se, nella seconda stagione, il caso dei fratelli Hapstall ha fatto perdere quota alla tensione, rubando spazio con una vicenda prevedibile e ben presto svuotata di mordente, l'impressione è che gli autori siano tornati nel tracciato più sicuro della struttura procedurale, con risultati abbastanza altalenanti. Il caso di questa settimana è funzionale al recupero della storia della violenza subita da Bonnie, alla base di uno dei colpi di scena dell'episodio: l'assassinio, da parte di Frank (Charlie Weber) del padre di Bonnie. Il che, di per sé, sarebbe un ottimo espediente, ma va a perdersi a causa di una gestione piuttosto goffa dell'escalation di violenza di Frank, del tutto ingiustificata rispetto all'arco evolutivo del personaggio.
C'è del buono, in
Don't Tell Annalise, intendiamoci: quel buono che si riconferma, puntata dopo puntata, la parte migliore e costante di
Le Regole del Delitto Perfetto, e che affonda le proprie radici nella gestione delle situazioni più intime e lontane dall'ambito criminale. Ne è ennesimo esempio il dialogo tra Connor (
Jack Falahee) e Oliver (
Conrad Ricamora), che prosegue la serie di flash di questa dolente rottura prendendo le distanze dal cliché della gelosia di rito, per inserire nel dialogo tra i due lo spinoso tema dello stigma sociale legato alla sieropositività.
Ugualmente intenso e sottile, il dialogo tra Nate (Billy Brown) e Annalise, cui fa da contraltare quello con Eve (Famke Janssen); in uno show che ci ha insegnato a non fidarci di nessuno, Eve rappresenta forse l'unico essere umano in grado di capire Annalise e farla sentire al riparo dal giudizio tagliente - e inevitabile - basato sul suo status di alcolizzata o, peggio, di criminale. Un rifugio sicuro, che non deriva da una volontaria cecità dell'ex fidanzata della nostra protagonista, bensì dalla capacità di andare oltre, da un affetto incondizionato che equivale al saper offrire sempre e comunque una spalla su cui piangere a coloro che amiamo, a prescindere dai peccati di cui si possano essere macchiati.
La parte più fiacca dell'episodio è, indubbiamente, legata alla festa a sorpresa di Wes (
Alfred Enoch). In realtà, a essere fiscali, l'intera storyline di Wes dall'inizio di questa stagione risulta avvincente quanto una televendita, il che fa sorgere spontaneo un dubbio sull'eventuale evoluzione della relazione con Laurel (
Karla Souza), che scopriamo essere la misteriosa sopravvissuta estratta viva - e incinta - dalla casa in fiamme di Annalise nel flashforward. Che sia lui il padre del bimbo in arrivo? Al momento, sarebbe una svolta tanto scontata da risultare l'ennesimo riempitivo privo di pathos in una minestra che rivela il suo miglior sapore solo a sprazzi.